Fino a che punto contano i coach?
Vilas:”Senza Tiriac non sarei stato io”
Gilbert è un saggio investimento?
Ma le donne preferiscono… papà

 
1 Marzo 2007 Articolo di Ubaldo Scanagatta
Author mug

di Ubaldo Scanagatta
tratto dall’ultimo numero di Matchpoint

Jimmy Connors con Andy Roddick, Brad Gilbert con Andy Murray, Larry Stefanki con Fernando Gonzalez, Amelie Mauresmo con Loic Courteau, Ivan Ljubicic con Riccardo Piatti, Hewitt e Agassi con Darren Cahill, Justine Henin con Carlos Rodriguez, ma anche Yuri Sharapov con Maria, Oracene Williams con Serena, il “padrino” Ales Kodat con Nicole Vaidisova, mamma Dementieva con la figlia, mamma Hingis con la figlia…
Quanto incide un coach sul rendimento di un giocatore? Zero, dieci, venti, trenta per cento? E’ difficile, se non impossibile, dare una risposta univoca, perché è ovvio che essa dipende sia dal giocatore sia dall’allenatore. E, più ancora, dal rapporto di fiducia reciproca esistente fra i due e da come i due riescono ad interagire proficuamente.
Ma è una risposta, che alla fin fine, ogni tennista deve trovare per se stesso, per le proprie necessità, una volta identificati i propri limiti, focalizzati i propri obiettivi, individuate le caratteristiche dell’allenatore che si ha, che si sta pensando di ingaggiare, che si va cercando fra i disponibili su piazza.
Perché, tranne che nel caso dei giocatori giovanissimi per i quali a decidere sono magari altri _ i genitori, il club di appartenenza, una federazione, un manager _ è il giocatore, o il suo clan, che dà il via al rapporto tennista-coach, che ritiene utile l’aiuto di un coach anche per soltanto una ragione, così come per mille motivi diversi.
Quanto più il singolo giocatore riterrà necessario usufruire del sostegno, morale, motivazionale, tecnico di un coach, tanto più, in rapporto alle proprie possibilità economiche, alla frequenza dei servizi richiesti, al raggiungimento degli obiettivi prefissi… dovrà essere disponibile a retribuirlo adeguatamente di modo che la soddisfazione sia reciproca, senza che nessuna delle due parti in causa debba sentirsi “usata”, sfruttata. I giocatori sudamericani, ad esempio, hanno fama di essere particolarmente micragnosi con i loro allenatori. Quando vincono di più e aumentano di riflesso le percentuali da dare agli allenatori, spesso preferiscono cambiarli piuttosto che pagarli quanto a loro pare esagerato. Insomma il loro resta l’atteggiamento di chi dice “ehi, ma in campo ci scendo io, le partite le devo vincere io…qualunque cosa tu dica”. E a volte è verco che sia così, ma non sempre.
Che l’atteggiamento generale dei giocatori sia cambiato riguardo alla necessità o meno di questo rapporto tennista-coach è indubbio. L’esigenza di migliorarsi, curando tutto il possibile nei minimi dettagli, è progressivamente cresciuta. Una volta il coach personale veniva considerato un lusso, quando non una civetteria. Il più famoso coach della storia degli anni Cinquanta-Sessanta- Settanta, è stato forse l’australiano Harry Hopman che ha tirato su una covata di campioni, Rosewall, Hoad, Laver, Newcombe, Roche, Stolle, prima della generazione degli Alexander e Dent, senza occuparsi mai di un giocatore soltanto, ma seguendone diversi tutti insieme. E non mi pare che abbia avuto risultati malvagi.
Oggi invece anche ragazzini che non sono ancora nessuno (o i loro genitori) ritengono che la presenza di un coach al loro fianco sia assolutamente necessaria per ottimizzare i tempi, per crescere più rapidamente. Un giovane che voglia fare agonismo ben difficilmente si muove completamente da solo. L’unione fa la forza, se quell’unione è solida, se è voluta da entrambe le parti e non è imposta (come, ad esempio, tanti anni fu invece assurdamente imposta al Gaudenzi diciottenne affiancandogli il sudafricano aussie di nascita Bob Hewitt, che aveva una formazione e un’età troppo diversa da Andrea. Il divorzio fu quasi immediato).
“Un campione ha vissuto per forza di cose tali e tante esperienze che di sicuro, anche trasmettendone solo alcune e/o aiutando ad affrontare situazioni da lui già vissute, è certamente di aiuto a un giocatore” – sostiene Guillermo Vilas che ammette “senza Ion Tiriac io non sarei mai diventato quello che sono diventato, il più forte tennista del mondo nel 1977 quando vinsi 17 tornei, fra cui due Slam”. Inciso: Guillermo non ha mai digerito che il computer dell’Atp non l’abbia issato al primo posto, lasciandoci Connors anche quando Jimbo forse non se lo meritava. “Ma nemmeno Nastase avrebbe vinto quel che ha vinto senza Ion, e neanche Panatta oppure Le conte, Becker, Ivanisevic…Certo bisogna che fra coach e giocatore ci sia la massima intesa, e anche una certa identità di vedute e comportamenti, perché se a uno come Safin gli metti accanto un professore noioso che non gli permettesse mai certe follie estemporanee, Marat impazzirebbe…”. Vilas si appassiona talmente all’argomento, ed è un tale sponsor dei coach campioni (“Un campione ti aiuta a cambiare, guarda cosa ha fatto Connors con Roddick, Gilbert con Murray, Stefanki con Gonzalez…”) che arriva a sostenere: “Ilie Nastase sarebbe il coach ideale per Safin!”. Una tesi, questa, un po’ paradossale per chi conosca bene Ilie e difatti non convince per nulla “Baffo” Newcombe (con Roche a lungo capitano di Davis e co-allenatore di Pat Rafter): “Nastase avrebbe bisogno di un coach lui…per imparare quella disciplina che serve a fare il coach!” se la ride John, nella media-lounge dell’Australian Open.
“I coach sono fondamentali, quando sono stati campioni e sono credibili _ ribatte Vilas_ quando un giocatore è in crisi, quando è morto, non sente più gli stimoli”. E Guillermo cita di nuovo Roddick “che aveva perso completamente fiducia nelle proprie possibilità e ora è rinato (se la batosta inflittagli da Federer in semifinale a Melbourne non lo farà ripiombare in depressione)”.
Così Vilas, e non solo lui, trovano perfettamente comprensibile l’ingaggio di un milione e mezzo di dollari annuo pagato dalla LTA (che ne prende 40 da Wimbledon…) a Brad Gilbert per aiutare il miglior tennista del Regno Unito, Andy Murray, a diventare uno dei primi cinque giocatori del mondo, e magari anche il n.1.
“E’ un investimento intelligente. Se la LTA raggiunge quell’obiettivo, ha fatto bingo, il tennis avrà un boom in Gran Bretagna che nessun finanziamento ad alcuna altra iniziativa legata al tennis potrebbe procurare” sostiene Vilas, sostengono un po’ tutti, penso anch’io.
Avessimo in Italia un giovane talento delle potenzialità di un Murray, la Fit dovrebbe frugarsi in tasca e fare la stessa cosa…anche se con il retropensiero che Gilbert, o uno come lui, possa essere anche uno che molto capisce e molto può dare, ma anche che molto ci marcia e molto prende. Ma, diceva il mio concittadino Machiavelli, il fine non giustifica il mezzo?
In questo panorama in continua evoluzione, cui fanno riferimento anche gli investimenti personali _ cito tanto per fare un esempio, papà Fognini che per garantire al figlio Fabio (e a Naso) un allenatore della serietà, ha ingaggiato da tempo un allenatore dell’ esperienza e della professionalità di un Caperchi, il cui ingaggio soltanto da poco tempo e in parte viene adesso assorbito anche dalla FIT (a seguito dei risultati di Fabio che è il miglior giovane italiano della sua generazione) _ e con la sempre più diffusa, generale convinzione che “più paghi un buon coach e più ti ripaghi” si avverte lo stridente contrasto con la situazione predominante in campo femminile.
Se il livello del tennis maschile, a prescindere dall’incredibile gap che Roger Superman Federer è riuscito a creare fra sé e gli altri, è molto buono, assai sofisticato anche nella cura dei minimi dettagli, di allenamento, di nutrizione, di preparazione tecnica, di studio tattico, di conoscenza degli strumenti fondamentali (racchette, corde, scarpe), sebbene anche lì vi siano delle eccezioni _ pensate a Nadal che si fa allenare dallo zio Toni…e difatti adesso c’è qualcuno che invoca per lui qualche cambiamento tecnico, sebbene lui non ne voglia sentir parlare _ il mondo del tennis femminile invece sembra _ anzi è _ proprio un pianeta a sé.
Fra le donne, e l’exploit di Serena a Melbourne lo conferma, “si vince all’80 per cento con la testa”, come ha raccontata la stessa Serena. Ed è vero. Perché la tecnica, salvo poche eccezioni (Justine Henin? In misura minore Amelie Mauresmo che, guarda caso, si servono entrambe di un vero allenatore, non di un genitore o di un amico di famiglia…) conta ancora poco. Conta di più la serenità della giocatrice, l’approccio mentale alla partita. Vedi anche i risultati di Silvia Farina a fine carriera, quando era più tranquilla, quando aveva al fianco Francesco Elia che prima di diventare amico e marito era un ottimo tecnico.
Anche Maria Sharapova è arrivata dove è arrivata perché ha coraggio, personalità, mentalità vincente. Le donne _ pensate alla Dementieva che non è mai riuscita ad imparare il servizio, lo ritiene un problema psicologico (lo è solo in parte) e per questo preferisce affidarsi alla madre che la sostiene…da mamma qual è _ salvo poche eccezioni, non si preoccupano tanto di migliorarsi tecnicamente, quanto di essere sorrette, sostenute, accompagnate, incoraggiate, consolate, congratulate. Meglio una persona di famiglia cui confidare tutte le proprie debolezze, preoccupazioni, sena filtri ed imbarazzi di sorta _ pensate anche solo alla contingenza del ciclo mestruale e dei problemi psicologici che può avvertire una ragazzina con un allenatore nuovo, semisconosciuto, con il quale non si parla di certe cose intime…o anche ad un’improvvisa infatuazione…
Difatti la situazione tecnica del tennis femminile è quella che è, e basta che una ragazza di discreto talento (non eccezionale dunque) si impegni alla morte per arrivare fra le prime 50 del mondo, anche in età preadolescenziale. Chi ti sta vicino deve essere uno che comunque non ti farà mai male, perché ti ama, perché sei carne della sua carne. Questa è, in genere, la priorità di una donna. E infatti quando una riesce ad affrancarsi da questo tipo di legame psicologico ecco che vengono fuori le Navratilova, le Graf (capace di fare a meno del padre pigmalione nella fase finale della carriera), Per quasi tutte è più importante essere rassicurate che non essere messe a nudo con le loro debolezze, con i loro difetti tecnici da limare e migliorare. Meglio avere accanto qualcuno che ti fa ridere, piuttosto che uno che ti spiega che cosa non sai fare e come potresti farlo meglio.
E’ anche per tutto questo che il divario tecnico _ oltre che atletico _ fra il tennis maschile e il tennis femminile di alto livello si è fatto sempre più profondo. Anche nel tennis maschile, naturalmente, la fiducia è importante, spesso molto importante _ vedi l’esplosione di Gonzalez all’ultimo Australian Open, di Baghdatis un anno fa _ ma nei maschi c’è la consapevole accettazione dei propri limiti e di conseguenza la volontà di alzare l’asticella sempre più in alto studiando tutto quello che c’è da studiare.
Fra le donne, a parte alcuni casi di conclamata (e miope) avarizia, quella volontà la si manifesta spesso soltanto a parole, oppure anche lavorando duramente ma senza ottimizzare al meglio i sacrifici compiuti.

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16 Commenti a “Fino a che punto contano i coach?
Vilas:”Senza Tiriac non sarei stato io”
Gilbert è un saggio investimento?
Ma le donne preferiscono… papà”

  1. roberto scrive:

    Bellissimo articolo Ubaldo, di rara profondità tecnica e psicologica. Spero solo che non salti su qualche voce invasata a contestare ciò che è sotto gli occhi di tutti. D’altronde non credo che tu volessi sminuire… l’altra metà del cielo: è solo che le donne e gli uomini sono diversi nel modo di vivere e di… “sentire” le cose.
    Se mi è consentito aggiungo un altro esempio di sodalizio tecnico felice nel tennis femminile: quello fra Gabriela Sabatini ed Carlos Kirmayr, il brasiliano riuscì a liberare il talento tecnico (tocco, gioco al volo) che era rimasto per anni soffocato nelle rotazioni e nella regolarità della scuola argentina, fino a consentire a Gabriela di vincere il suo unico Slam: come ricorderete, nella finale dell’US Open ‘90, sconfisse la Graf (dalla quale restando a fondo campo perdeva sempre), andando a rete sul rovescio della tedesca, giocando il rovescio slice e ricorrendo ai drop-shot. Mi fece molta impressione…

  2. angelica scrive:

    Articolo interessante.
    Sono completamente d’accordo sulla parte relativa alle tenniste.
    Ed infatti, Ubaldo, secondo me anche il coach di Henin a Mauresmo rientrano, in un certo senso, nella categoria “genitori”.
    Voglio dire che entrambe non hanno avuto una situazione famigliare molto tranquilla e sia Loic Courteau che Carlos Rodriguez, oltre ad essere due ottimi allenatori, sono anche due figure “paterne”. Sopratutto Rodriguez che se non sbaglio lavora con Henin da quando aveva 13 anni (Courteau credo da circa 5 anni).
    Per quanto riguarda Steffi Graf e’ vero che il padre e’ sparito nella fase finale della sua cariera pero’ e’ comparsa la mamma. Certo non in campo ad allenarla pero’ la sua presenza ai tornei era costante

  3. gianni scrive:

    Grande articolo Ubaldo…..veramente bello completo ed esauriente!!!!

  4. Bernardo scrive:

    Ciao Ubi, bellissimo il tuo blog !!!!!,perchè non ne fai uno anche di golf,magari può essere uno spunto visto che in futuro i golfisti saranno sempre di più e di gente che ci capisce ….. Un bacio a Tiz e ai ragazzi Bernardo

  5. stefano grazia scrive:

    Avevo giá letto,e apprezzato, l’articolo su MP e come di fronte ad altre inchieste del genere anche su Tennis Italiano, mi ero ruminato alcune considerazioni, le solite…Una volta nessuno aveva il Coach…La bellezza e l’unicitá del tennis stanno in quel ‘it’s you and me, baby, just you and me’ di Pancho Segura…Federer é in pratica senza Coach…Molti campioni (e non solo campionesse) hanno avuto Genitori a digiuno di tennis come Coaches e ció non gli ha impedito di diventare campioni…Muster e Gaudenzi,poi, avevano per coach un giornalista! Quindi credo che comunque la prima cosa da distinguere sia: COSA S’INTENDE PER COACH e DIFFERENZIARE IL TERMINE DA QUELLO DI MAESTRO DI TENNIS/ISTRUTTORE
    Secondo: é evidente che occorre distinguere l’importanza dell’uno e dell’altro nei diversi periodi della carriera tennistica
    Infine forse bisognerebbe davvero leggersi anche qualche libro di e sul tennis, e perfino quello di Brad Gilbert, che é riconosciuto da tutti come uno dei pochi coach validi (incontra piú scetticismo presso i suoi ex colleghi coetanei), non Winning Ugly, ma il secondo I got your back, nel quale con una sorprendente (oper chi non l’ha mai seguito) umiltá in pratica spiega che fare il Coach di un Agassi, di un Roddick e presumo anche di Murray (the kid, come lo chiama lui), sia anche quello di andargli a prendere un cappuccino e un dnought caldo di primo mattino… Il Coach si é trasformato in un organizzatore, padre putativo, amico, psicologo, manager, segretario, sempre meno scout e sparring partner che tanto per palleggiare si trova sempre qualcuno…Insomma, vogliamo veramente credere che Agassi ne sapesse di meno di Gilbert o di Cahill, un altro di quelli riconosciuti come validi, o che per Federer siano indispensabili i consigli magari per via telefonica di Tony Roche? Ecco, magari la riconosciuta abilitá di scouting di Gilbert puó anche tornare utile, specialmente a uno come Murray, ma credo che alla fine quello che sia importante nel Campione Adulto sia il Team che gli viene messo a disposizione o chwe lui é in grado di crearsi (agente, preparatore atletico, psicologo,nutrizionista). Poi, se c’é bisogno di rimettere a posto dei colpi, ecco che d’inverno la Sharapova va da Langsdorf, in California… Magari la Dementieva dovrebbe andare da qualche Dr Serve…Justine, che pure ha Carlos Rodriguez, va a farsi i muscoli da Pat Etcheberry… Anche leggendo Uncover di Pat Cash mi sembra di capire che a un certo livello piú del singolo Coach sia importante il Team che magari fa capo ad una figura di Head Coach, non necessariamente,quest’ultimo, un pozzo di sapienza tennistica ma magari un abile organizzatore,pianificatore, psicologo…Certo, Larry Stefanki sembra aver fatto un gran lavoro con Gonzo…O Piatti con Ljubcic…O pare anche Todd Martin con Mardi Fish…
    Qualche mese fa Panatta ed altri giornalisti e tecnici di Match Point si indignavano per la statura tecnica di troppi allenatori o pseudo visti in giro per il tour o sulle tribune (ma hai visto? gli gridavano: occhi di tigre, occhi di tigre…!, ma si puó?-mi sembra scrivessero), ma evidentemente se questi giocatori/trici con queste guide arrivano comunque nei primi 20 del mondo, significa che il Coach Tecnico nel tennis non conta poi questo granché…
    Vilas dice che i Coach contano a patto che siano stati grandi campioni… mah, difficile non credere che uno come Agassi non possa essere un fantastico coach, molto piú difficile pensare che un Grande Campione degli anni 90 ne possa avere la voglia e la motivazione economica…

  6. biagio scrive:

    Caro Ubaldo,

    meraviglioso post, con complimenti particolari sulla diversita del problema-allenatore tra uomini e donne. Complimenti rinnovati anche a tutti i collaboratori e partecipanti, che rendono la lettura degli stessi commenti di un livello tecnico spaventoso, con una evoluzione clamorosa nell’arco di poche settimane (ormai per certi approfondimenti bodo ci invidiera’…).
    Sul discorso coach secondo me l’importanza e’ (almeno a livello maschile) legata in maniera fondamentale alla tipologia del giocatore. Tralasciando Federer, che comunque rientrera’ dalla porta di servizio, i giocatori che maggiormente necessitano di coach di alto livello, e che ne traggono grandi benefici, sono fondamentalmente quelli monodimensionali, o comunque con un gioco limitato, e con qualche grosso difetto. O quelli molto giovani. Murray e’ un esempio particolare - c’e’ il fatto che si tratta di un giovanissimo che deve solo imparare quali colpi utilizzare nel momento giusto, ma senza grosse carenze tecniche (semmai fisiche, ma crescera’), per il quale il successo post-gilbert puo’ comunque essere casuale o quasi (semmai solo un po’ accellerato). Djokovich stesso e; seguito soprattutto dal padre e non sembra risentirne a livello di risultati e tecnica. Nadal e’ un caso diverso, ed un buon coach gli servirebbe se vuole fare bene fuori dalla terra rossa, cosi’ come ha aiutato roddick, un giovane agassi etc. Safin, discorso psicologico a parte, con il suo gioco completo, non giova di coach vari perche’ non ne ha un particolare bisogno. Ljubo, Gonzo etc si’. I vari Henman, Sampras, Davydenko, con i loro giochi scolpiti nella pietra delle loro abilita’ o difetti, giovano meno di un coach, se non a livello psicologico.
    A livello femminile, vista la qualita’ tecnica media sui vari colpi, e’ inspiegabile che nessuna si degni di voler migliorare oltre quello che uno puo’ fare tirando milioni di palle a un sparring uomo (eccetto JH e AM, ovviamente).

  7. maxolds scrive:

    completa giusta ed esaustiva la diesamina di ubaldo, davvero.

    vorrei solo evidenziare il caso connors-roddick. subito alla notizia dello sposalizio tecnico , e dunque a priori, molti -tra cui lo stesso ubaldo se non sbaglio- hanno espresso dubbi sia sul fatto che jimbo fosse il tipo adatto per cambiare e migliorare uno come roddick sia sul valore stesso assoluto del fighter americano come coach… senza specifica esperienza o carriera, un po’ fuori dal giro carattere tosto non duttile e completo etc
    e in effetti a distanza di alcuni mesi gia’ si puo’ cominiciare a dire che.. potra’ anche essere un motivatore e una buona compagnia…magari anche al di la’ del cappuccino mattutino condiviso, ma in quanto a risultati o progressi tecnici e tattici…
    roddick e’ sempre nei primi del mondo, un bravo ragazzo un agonista ma ha realmente cambiato o migliorato qualcosa? parrebbe proprio di no. avra’ pure piu’ confidenza o fiducia, all’americana, ma continua (e con tutta probabilita’, continuera’) a perdere con federer e nalbandian, faticare con i lu (o era la tu?) e altri pallettari o muscolari come lui e non necessariamente mitici come connors…
    per cambiare davvero ci vuole lavoro e acume e drammatica o banale capacita’ di mettersi in discussione, con linee guida originali solide e non solo con ore di training ‘’sono il piu’ forte sei fortissimo” allo specchio,,, guardandoci dentro uno che poi e’ come te.
    la ricetta vincente non c’e’ e non ce l’ha nessuno, pero’ provarci davvero non e’ facile ma manco impossibile.
    a volte necessita una sensibilita’ o voglia personale, un talento e una missione interna -si guardi borg o federer , o lo stesso lendl che ci provo’ quasi invano, a cambiare per migliorare- altre volte… basta mirca, evidentemente…
    certo , se poi un volandri si accontenta o dice che il suo servizio non e’ un problema.. ti cascano un po’ le braccia. contenti loro…

    e poi, come si dice : talvolta nello sport, e in particolare nel tennis, ”essere stupidi non e’ indispensabile; pero’ aiuta” nel senso che guarda noi tutti imparati a tavolino e quegli stupidotti in campo invece che giocano e pistano a mille…..

  8. stefano grazia scrive:

    A Bernardo: anything you can play trinking and smoking is not a sport…é una famosa frase di Agassi (lo smoking ce l’ho aggiunto io) … mi piace il golf, l’ho imposto come sport sociale (assieme a nuoto e sci, e tennis ovviamente) a mio figlio ma non confondiamo uno sport come il tennis con la combinazione fra il biliardo e l’andar per funghi, … che sicuramente non merita un blog come questo!
    Vabbé, dai scherzo…

  9. Fabio F. scrive:

    Sarò banale, ma penso che per ottenere risultati sia fondamentale la volontà di chi il coach se lo sceglie.

    Lendl scelse Roche per combattere le sue paure, e fece benissimo. Come Murray ha fatto benissimo con gilbert. Safin salvo che con menshua nonsi è trovato con nessuno. Brett ha migliorato un po’ Ivanisevic nel 1992, non ha potuto fare niente contro la sua follia.

    Credo che l’input a migliorarsi venga sempre per prima cosa dal tennista. Dopo, è indubbio che Stefanki,Gilbert,Roche abbiano ottenuto,per qualità personali, risultati migliori di altri.

    Ma, per dirla tutta, non so proprio quanto uno Stefanki,per dire, potrebbe fare con safin…

  10. cristiano scrive:

    Penso che gli allenatori bravi siano pochi, e che tutti possano migliorare con un allenatore capace, anche i campionissimi. E proprio per migliorare tecnicamente e tatticamente, non solo per un fatto motivazionale. I due libri di Brad Gilbert, ‘Winning Ugly’ e ‘I’ve got your back’ sono molto interessanti al proposito, per chi fosse interessato. Lo stesso Federer, il giocatore che ne ha meno bisogno, avrebbe forse già vinto Parigi con un allenatore che lo avesse aiutato di più in certe scelte tattiche, figuriamoci gli altri. Però non basta avere un allenatore bravo, conta molto il rapporto, anche umano, fra lui e il giocatore. Gonzalez è l’ultima prova dell’importanza di avere un allenatore bravo. Poi, ovviamente, un Federer senza allenatore sarà sempre piu’ forte di un Vliegen con il piu’ bravo allenatore del mondo…

  11. francesco elia scrive:

    ciao ubaldo, ho letto con interesse e curiosità le tue opinioni su questo argomento. ritengo che tu abbia ragione nel sostenere che un buon allenatore possa aiutare un atleta ad ottenere il massimo da se stesso. il tennis maschile e quello femminile differiscono per molte cose:la forza,la tattica,la tecnica,l’aspetto mentale;di conseguenza anche l’insegnamento e l’approccio con l’individuo è differente.per poter insegnare qualcosa ad una ragazza bisogna prima capirla caratterialmente in modo tale da poter “accedere” alle sue capacita’ di apprendimento.il tutto condito con una grande dote di pazienza,flessibilita’ e positivita’.con i ragazzi puoi avere un rapporto piu’ duro e diretto,senza correre il pericolo di portarti dietro malumori e ripensamenti.per quello che riguarda silvia,che tu hai elogiato numerose volte,permettimi di dissentire da quello che hai affermato.silvia ha ottenuto i migliori risultati della carriera dopo i 25 anni solo ed esclusivamente in conseguenza dei suoi notevoli progressi.trovo ingeneroso verso il suo impegno nell’allenamento circoscrivere le sue vittorie per una raggiunta serenita’.silvia ha progredito sotto tutti gli aspetti a partire dalle capacita’ condizionali(resistenza,forza,velocita’,elasticita’ muscolare),passando attraverso una grande modificazione tecnico- tattica del suo gioco.negli ultimi anni,raggiunta la maturita’ di atleta, ha dedicato parte del suo allenamento quotidiano all’aspetto mentale.ti chiedo scusa per questa piccola parentesi ma la ritengo doverosa nei confronti di silvia.un saluto francesco elia

  12. marcos scrive:

    quando un uomo ama una donna, per altro…straordinaria.

    grazie francesco!

    marcos

  13. anto scrive:

    Credo di far cosa gradita, trasmettere l’intervista di uno dei più importanti coach a livello italiano.
    Siamo in compagnia di uno dei tecnici più rappresentativi del panorama tennistico italiano, coach Bonaiti.
    Buongiorno coach, come stà? Bene grazie.
    D: Lei è l’allenatore di Max Dell’Acqua, di Stoppini e del bresciano Pedrini, quali sono le difficoltà maggiori ad allenare giocatori cosiddetti non di prima fascia?
    R: Le difficoltà sono molteplici, innanzitutto il budget limitato, che non mi permette di seguire i miei giocatori come vorrei soprattutto durante le trasferte. Il mio team privato non riceve aiuti economici dalla federazione, dobbiamo arrangiarci da soli, ed una stagione a livello professionistico è molto onerosa.
    D: Si parla tanto del Progetto Italia della FIT, quali sono le sue considerazioni in proposito?
    R: Il Progetto Italia è nato per supportare i giocatori italiani di prima fascia ed i loro coach durante gli Slam ed i tornei più importanti del circuito. Ora bisogna vedere se ci sarà spazio anche per gli altri, il tempo ci permetterà di capire. Ben vengano iniziative di questo genere, l’importante è che tutti ne possano beneficiare.
    D: I team privati sono ormai una realtà, avranno sempre più spazio in futuro?
    R: Si ormai il trend è quello, l’importante è che ci sia collaborazione come avviene in Spagna e non una corsa a prevalere l’uno sull’altro come talvolta accade, ma a far meglio.
    D: Il tennis è in crescita, ma purtroppo non abbiamo un campione che possa tirare il movimento, a quando un top 10?
    R: Il tennis è uno sport difficile, complesso, molto tecnico, non è mai facile fare delle previsioni del genere, certo che se pensiamo a Cipro che in Baghdatis ha il suo top 10, l’Italia ha si buoni giocatori ma gli manca il giocatore di riferimento.
    D: Cosa si potrebbe fare per rilanciare il tennis in Italia?
    R: Bisogna partire dalla base, la scuola non aiuta chi gioca a tennis, bisogna allargare il movimento, purtroppo il calcio prende tutto e le televisioni a pagamento non danno la visibilità che merita questo sport in quanto non tutti possono accedervi.
    D: Parliamo di Max Dell’Acqua, a mio avviso giocatore dal talento straordinario ma che non ha raccolto quanto meritava?
    R: Dell’Acqua è un giocatore dai mezzi fisici straordinari, adatto alle superfici veloci, soprattutto sull’erba ha conseguito risultati importanti, ma ora si trova a 27 anni con classifica 600 Atp a dover risalire la china e non è mai facile risalire a questi livelli.
    D: Di Stoppini i più ricordano il suo più grande risultato, l’exploit con la vittoria contro Agassi a Washington nel 2006, giocatore che gli addetti ai lavori ritengono dotato di grandi mezzi tecnici ma che a causa della sua paura a volare ne ha limitato talvolta la partecipazione ad alcuni tornei.
    R: La vittoria di Agassi invece di rilanciarlo verso traguardi più importanti, paradossalmente lo ha un po’ frenato. La sua paura di volare credo che sia stata superata, basti pensare alle quali tentate in Australia. E’ un giocatore molto tecnico che se avesse un briciolo di convinzione in più nei suoi mezzi, potrebbe davvero togliersi delle soddisfazioni importanti. Giocare in America contro Agassi e vincere non è da tutti.
    D: Se potesse cosa cambierebbe nel suo modo di essere coach?
    R: Mi piacerebbe seguire in maniera più completa i miei giocatori, soprattutto nei tornei. E’ didatticamente importante poter vivere il tennis 24 ore su 24, far capire al giocatore dove ha sbagliato dopo un match perso, preparare assieme a tavolino la tattica giusta per affrontare l’avversario di turno, ma purtroppo il budget spesso penalizza.
    D: E se dovesse convincere un bambino a scegliere di giocare a tennis, cosa gli direbbe?
    R: Il tennis è uno sport bellissimo, che ti permette di giocare oltre contro il tuo avversario, anche contro te stesso, e ti regala sensazioni uniche emozioni che pochi altri sport sanno regalare.
    Con questo spot sul tennis, si conclude l’intervista a coach Bonaiti, che ringraziamo per la sua disponibilità e gli auguriamo di conseguire successi e risultati importanti con i suoi giocatori.

    Antonello Zani – TENNIS TEEN

  14. MTeresa M. scrive:

    Finalmente il signor Antonello Zani ci ha regalato una bella intervista al coach Franco Bonaiti.
    Sono d’accordo con il bravo choach Bonaiti. Non ci sono aiuti economici…invece di fare belle riviste e costose, accessibili ad un pubblico ristretto, si potrebbero fare giornali di notizie di tennis anche con carta ricliclata, e investire e sostenere direttamente le scuole di tennis.
    Il calcio viene troppo pubblicizzato, tutti gli altri sport e sono tanti e bellissimi, vengono dimenticati….perchè???…sono bellissimi…
    Nelle scuole si fa poco per il tennis…perchè…ci vuole poco:un campo, rete e palline!!!!
    Si cerca sempre di creare dei miti e non si vede il lavoro che c’è dietro a tutto il risultato di una semplice (non è mai semplice!) vittoria.
    Quello che sa trasmettere il maestro Bonaiti è molto forte, trasmette un’ enorme carica ai suoi giocatori e al tennis.Forse l’unica cosa impossibile per lui è di potere seguire direttamente tutti i suoi giocatori…se fisicamente (bilocazione) potesse farlo sono sicura che lo farebbe….
    Grande Bonaiti sei forte!!! Buon lavoro!!!

  15. MTeresa M scrive:

    Ho riletto con attenzione tutti gli articoli, sono uscita dall’argomento, avevo letto velocemente solo l’intervista del coach Bonaiti….. ti prego cancella il mio intervento del 3 aprile. grazie mariateresa.

  16. maria scrive:

    bello questo blog…posso entrare anch’io??? saluti a tutti!!!
    ….secondo me i coach sono molto importanti, devono aver giocato e devono essere psicologi, devono capire gli atleti e aiutarli a maturare. Devono anche seguire gli aspetti pratici dei viaggi e delle gare!!!
    ….e’ un duro lavoro, ma se c’è passione e preparazione, i sacrifici fatti solo se c’è passione si vedono realizzano nei risultati degli atleti….la passione deve venire trasmessa…comunque penso che ci sia anche un lavoro molto psicologico…..
    E stato molto interessante l’intervento di Francesco Elia:sentire direttamente dall’interessato cosa pensa…è il massimo…
    …effettivamente il coach può essere bravissimo, ma ci deve già essere un lavoro di base da parte dell’atleta che è brava, che vuole impegnarsi e sacrificarsi con tutti gli sforzi per dare il massimo ….poi il resto è in aggiunta e ben venga….se il coach è bravo aumenta il risultato!!!

    ….io ringrazio anto che ci ha inviato l’intervista di Bonaiti.
    …chi mi sa dare altre notizie sul coach Franco Bonaiti e sulla sua storia….
    ….mi piacerebbe che si inserisse anche lui direttamente…

    …ci sono altri coach che ci regalano un loro prezioso consiglio o ci raccontano la loro esperienza…la loro passione…???…penso che interessi a molte persone!!!

    Grazie di avermi dato la possibilità di esprimere un mio modesto parere…saluto tutti e auguro un buon tennis!!!

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