Bush-Putin. Alle Nazioni Unite prove tecniche di guerra fredda

New York - Il primo test vero sulle intenzioni di Putin di alzare la tensione con gli Stati Uniti e con la Nato si avrà nelle prossime ore al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il banco di prova diventerà il Kosovo. Se gli Stati Uniti spingeranno per arrivare subito al voto di una risoluzione, che di fatto apre la porta a una quasi immediata indipendenza della regione a maggioranza albanese, incuranti del veto russo, allora vuol dire che siamo alla prova di forza. E questa volta è Bush che si spinge a guardare la carte segrete del poker di Putin.

Annunciando l’uscita dal patto sugli armamenti convenzionali in Europa, fra 150 giorni, il presidente russo, secondo molti analisti, ha voluto in realtà accelerare e concretizzare il confronto sullo scudo stellare europeo ripetendo il suo profondo disappunto per l’uso di eventuali basi in Polonia e nella repubblica Ceca. Putin non crede che Bush lo ascolti veramente sullo scudo e teme che le basi «russe» in Azerbajan non costituiscano davvero un’alternativa. E’ questo ciò che Putin si è sentito dire al summit delle aragoste di Kennbunkportin da Bush.
Il capo del Cremlino però ha meno tempo del leader della Casa Bianca perché a marzo in Russia si torna a votare e la sua mossa contro Washington ha proprio lo scopo di rimettere al centro lui e non i suoi successori nella grande partita strategico-militare (e dietro le quinte anche energetica ed economica) fra Mosca e Washington. Per Gorbaciov, non sempre soffice nel giudizio sul presidente russo, Putin questa volta «vuole il dialogo» e gli americani farebbero male a non raccogliere seriamente l’invito e a sedersi ad un tavolo.

La sospensione delle comunicazioni e delle ispezioni da parte della Russia sul suo armamento convenzionale, verso i paesi che fanno parte del patto, di fatto non è un ritiro ma la minaccia di una fine completa della collaborazione con Nato e Usa se entro cinque mesi non ci saranno stati progressi. La disputa sullo status del Kosovo solo apparentemente è parallela perché di fatto riconferma la preoccupazione russa del sentirsi accerchiata, sia da ex paesi del patto di Varsavia (che adesso sono diventati parte integrante della Nato) sia da “George”, l’amico americano che per almeno un paio d’anni, con la scusa di contenere i rischi iraniani, ha negoziato con Varsavia e Praga senza informare Mosca. Il Cremlino in realtà vorrebbe che la Nato ratificasse il trattato sulle armi convenzionali, ma al tempo stesso mentre vuole aumentare le sue forze in Caucaso e sul Baltico, si rifiuta di rientrare nei parametri che lo stesso trattato prevede e mantiene i suoi militari in posizioni minacciose sia ai confini della Moldovia che della Georgia ormai decisamente anti-russa.

Ma se da Washington — con Condoleezza Rice e il ministro della difesa Gates — nelle prossime settimane partirà un’offensiva diplomatica segreta, che avrà come scenario il Medio Oriente con un occhio rivolto a Mosca al Palazzo di Vetro, il nodo del Kosovo diventerà la cartina al tornasole. Un veto di Mosca alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza e un riconoscimento unilaterale dell’indipendenza della regione da parte di Washington, sarebbe il segnale che la «nuova guerra fredda» è già iniziata e Kennebukport, invece che il summit dell’amicizia, è diventato quello degli addii.

Giampaolo Pioli

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