Due pesi, due misure per chi affronta il dramma eutanasia
SE HAI UN NOME sei un paladino dei diritti civili e se non sei nessuno sei un delinquente. Di fronte a tanta confusione in tema di eutanasia è questa l’unica certezza che si ricava dagli ultimi fatti di cronaca. A Milano è finito in galera un pensionato perché la vita lo ha posto di fronte ad un terribile bivio. Rassegnarsi davanti alla sorella in coma o farla finita uccidendola. Il tentativo di eutanasia è fallito, perché mentre si apprestava a realizzare il proposito, è stato fermato dagli infermieri dell’ospedale di Garbagnate Milanese, dov’era ricoverata la donna. E lui è stato arrestato per tentato omicidio. Nelle stesse ore Antonio Di Ciesco, vedovo dell’indimenticata pornostar Moana Pozzi morta per un cancro nel fiore dei suoi anni, ha raccontato di aver ucciso la moglie nella notte del 15 settembre 1994 in una clinica di Lione.
Sia il pensionato che il vedovo della star hanno spiegato di aver agito spinti dall’amore e per mettere fine alla sofferenza dei loro cari. Solo che per quel motivo, con esito fra l’altro negativo, il pensionato è stato arrestato e l’altro, fra l’altro con esito positivo, non è stato finora nemmeno indagato e si appresta a vendere l’episodio dell’eutanasia procurata come il piatto forte di un suo libro di memorie, di imminente pubblicazione.
Tanto per sostenere le argomentazioni ricordiamo che lo stesso è accaduto a Mario Riccio, l’anestesista che sedò Piergiorgio Welby, l’uomo che era ammalato da quarant’anni di distrofia muscolare progressiva e che si rivolse al Presidente della Repubblica per chiedere un suo intervento in favore dell’eutanasia. Anche in quel caso, il medico, che consentì la fine della sofferenza del malato e che esaudì un’esplicita richiesta, non venne arrestato.
Appurato che scelte così drammatiche, che hanno a che fare con quel confine niente affatto definito che sta tra la vita e la morte, non si affrontano con le manette, ci aspettiamo che si indichino al più presto criteri convenzionali certi e definiti. Nel frattempo vorremmo che il trattamento giudiziario corrispondesse a principi di equità e di uguaglianza. Non di censo o di notorietà.