Le vie dei clandestini

di Alessandro Farruggia
DA TRIPOLI (LIBIA)
E’ stagione. Ogni anno, da ottobre ad aprile, non appena le condizioni ambientali consentono l’attraversamento in realativa sicurezza del deserto del Sahara, da 70 a 100 mila pesone varcano i confini della Libia. Vengono dall’Africa occidentale e orientale, da Marocco ed Egitto. Di solito passano qualche mese nella Grande Jamahiriya, dove lavorano come clandestini. Poi una parte sceglie di restare più a lungo, un’altra torna a casa (o viene rimandata a casa) e una parte, stimata in 20-30 mila, tenta di raggiungere l’Italia e l’Europa. Il traffico frutta decine di milioni di euro alle cosche libiche, tunisine, marocchine, sudanesi, etiopi, nigeriane, nigerine, senegalesi, ivoriane, ghanesi che gestiscono il traffico e quasi non si ostacolano tra loro perché il mercato è così ricco che c’è spazio per tutti.
Quello che colpisce chi viene in Libia è che il movimento migratorio è così ampio - 600 mila immigrati regolari e da 1 milione a 1 milione e 700 mila irregolari su 5.5 milioni di persone - che per le autorità di polizia libiche è oggi oggettivamente quasi impossibile gestire e limitare un flusso che in primis è un flusso diretto proprio verso la Libia che non è affatto solo un paese di transito ma è anche paese di destinazione.
Eppure qualcosa, anzi molto, si può fare. Per cambiare le cose servirebbero maggiori investimenti nella polizia di frontiera, e su questo le autorità locali potrebbero fare parecchio - dopotutto la Libia è un paese petrolifero in eccellente salute finanziaria, al quale non mancano certo le risorse necessarie per schierare qualche migliaio di uomini, dotati di mezzi adeguati, alle frontiere meridionali - naturalmente anche con l’aiuto (in primis fornitura di know how e tecnologia) dell’Unione Europea. E servirebbe più collaborazione tra le autorità di polizia italiane e quelle libiche. Quella che c’è è molto positiva e sta dando i suoi frutti, ma si può fare sempre di più e di meglio. L’obiettivo infatti deve essere quello, coinvolgendo anche le autorità di polizia dei paesi vicini - a partire da Niger, Mali, Chad, Sudan, Egitto, Marocco fino a Nigeria, Senegal, Etiopia, Eritrea, Costa D’Avorio, Ghana, Benin - di colpire le cosche dei moderni negrieri, che sfruttano l’immigrazione clandestina. Difficile, certo, ma non impossibile. Come li trovano quelli che vogliono fuggire verso l’Italia, i trafficanti possono trovarli anche degli agenti infiltrati. E le piste nel deserto, specie nei punti chiave, possono essere monitorate sia da terra sia via satellite (con risoluzioni di pochi metri, scattando immagini che possono segnalare il movimento dei mezzi che traghettano da Sud a Nord i disperati).
Volendo, grazie ad una aperta e paritaria collaborazione tra stati (e grazie alla contemporanea concessione di “green card” per incentivare l’immigrazione regolare e alla promozione dello sviluppo locale per non costringere ad andarsene chi vorrebbe restare) il traffico di esseri umani - come si è visto con l’Albania ma anche con la Tunisia - può essere ridotto e anche di molto. Volendo tutti, naturalmente.

Collegamenti sponsorizzati


1 Commento a “Le vie dei clandestini”

  1. carlotta maggi scrive:

    finché le condizioni di vita sono così difficili in Africa, non basteranno mai i poliziotti e militari per dissuadere le persone di tentare di raggiungere un posto che li permetta una vita migliore (tanto, peggio non può andare per loro). Anche i tentavi disperati di costruire muri per bloccare la migrazione è ridicolo, la gente ha sempre “votato con i piedi”, cioè ha cercato da sempre di spostarsi in nuovi territori, quando non ha trovato le condizioni per vivere nel luogo di nascita.

Scrivi un commento