IPCC IV: noi l’anticipammo, gli altri lo scoprono ora

di Alessandro Farruggia
Leggiamo sul sito online del Corriere della Sera che l’Independent ha anticipato il quarto rapporto IPCC. Complimenti. Peccato che noi lo abbiamo pubblicato (assieme all’inglese Observer, a Repubblica e al canadese The globe and Mail) lo scorso 21 gennaio. Completezza vorrebbe che si citasse chi per primo e non per ultimo ha fatto l’anticipazione. E sportivamente si ricordasse anche che sui siti online di Qn, Nazione, Carlino e Giorno abbiamo fornito _ unici al mondo _ l’integrale sia del rapporto per i politici (summary for policymakers) che del rapporto tecnico (technical report, che sarà reso noto solo a maggio). Ma tant’è….

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6 Commenti a “IPCC IV: noi l’anticipammo, gli altri lo scoprono ora”

  1. Francesca scrive:

    Era un documento sotto embargo… l’averlo pubblicato non mi sembra una cosa di cui vantarsi.

  2. alessandro scrive:

    da Farruggia
    In realtà non si trattava di un documento sotto embargo, ma di un documento riservato. Non era stato cioè fornito ai giornalisti sotto promessa di non pubblicarlo, era invece tenuto riservato e circolava solo fra gli addetti ai lavori.
    Lo abbiamo rivelato non solo per fare uno scoop ma soprattutto perchè il processo fosse pienamente trasparente: in particolare volevamo fare in modo che ogni cambiamento dell’ultima ora avvenisse in una casa di vetro. Adesso basterà confrontare il testo della bozza finale e quello approvato per verificare se e dove è cambiato.
    E in ogni caso se noi, con altri, lo abbiamo anticipato, anche chi lo scopre oggi lo sta in ogni senso anticipando, dato che l’approvazione deve ancora avvenire e il testo non sarà reso noto prima del 2 febbraio.
    E allora, anticipare per anticipare, meglio farlo per primi.

  3. Francesca scrive:

    Grazie per la cortese risposta. Forse il mio inglese non e’ buono come il suo…

    Nella prima pagina di Summary for Policymakers leggo

    Note: The content of the Final Draft of the Working Group I
    contribution to the IPCC Fourth Assessment Report should not be
    cited or quoted, and is embargoed from coverage by the news media.

  4. Jean-Marie Le Ray scrive:

    Grazie mille per lo scoop, ha proprio ragione, meglio conoscere prima quello che rischia di essere cambiato poi senza chiedere il parere di nessuno, almeno ci sarà sempre una base per la discussione.
    Sperò che non me ne vorrà se mi sono preso la libertà di condividere questa mia scoperta con i francesi :-)
    http://adscriptum.blogspot.com/2007/01/global-warming-awareness-2007.html
    Grazie ancora per il suo lavoro. Cordiali saluti,
    Jean-Marie Le Ray

  5. alessandro scrive:

    da Farruggia a Francesca

    E’ vero il testo inglese dice che il testo è “embargoed from coverge by the news media” e dice pyure “do not cite or quote”, ma la formulazione è altamente impropria: un embargo è comunque qualcosa che si concorda. La fonte fornisce il materiale in anticipo e lo copre con un embargo: il giornalista accetta di non pubblicare in anticipo SOLO perchè altrimenti non avrebbe avuto il materiale e perchè se pubblica violando l’embargo si chiude una fonte. Per avere un embargo occorre quindi fornire il materiale. Qua nessun materiale è stato fornito da Ipcc. E’ invece una classica fuga di notizie. Normale (ma a mio avviso sbagliato) che IPCC cerchi di proteggere il suo lavoro, normale che la stampa cerchi di divulgarlo. Se ci limitassimo a pubblicare solo quel che le fonti dicono che si può pubblicare diventeremmo qualcosa di simile alla stampa di regime. Non sapremmo _ ad esempio _ nulla dell’inchiesta sulla strage di Ustica. Sarebbe un bene per il paese? Non credo proprio. Le parole chiave sono trasparenza e verità.

  6. Sergio Mannucci scrive:

    CLIMA IN DIVENIRE: IL RAPORTO IPCC

    Finalmente i politici si sono svegliati dal torpore verde che ha portato tanto grigio nell’avvenire di questa terra; per quanto riguarda il clima, alcuni scienziati inglesi e tecnici della NASA affermavano già nel marzo 1989:
    “Nonostante qualche discrepanza fra modelli matematici e realtà e qualche riserva da parte degli scienziati, è innegabile che si è innescato un fenomeno di riscaldamento del pianeta; su i suoi effetti si fanno mille supposizioni e previsioni: crescita del livello dei mari e oceani, alluvioni e siccità, grandi mutamenti climatici di cui l’uomo soffrirà le conseguenze, nella consapevolezza di esserne l’unico responsabile”.

    Sono occorsi 17 anni perché i novelli Tommasi (anche se non santi) si siano resi conto del disastro in cui gli scettici ecologisti(?) ci hanno trascinato! E si trattasse solo del clima!

    Secondo un rapporto della Commissione Europea risultano ogni anno circa 310.000 morti in Europa a causa dell’inquinamento atmosferico, dei quali 65.000 in Germania, 39.000 in Italia: più del 90% delle morti sono causate dalle polveri sottili emesse dagli impianti combustione, auto, industrie, riscaldamento.

    Restando a Firenze: secondo le stime dell’Istituto regionale per la programmazione economica della Toscana, risultano ogni anno 350 persone che muoiono per l’effetto dell’inquinamento di cui, 196 per problemi cardiocircolatori 132 per malattie dell’apparato respiratorio.
    Ancora:
    “Secondo un rapporto della Organizzazione mondiale della sanità sulle cause di morte:
    - nel 2020 i cambiamenti climatici provocherebbero non meno di 150 mila decessi l’anno in tutto il mondo;
    - dal 1995 al 2004 l’Europa ha subito 30 grosse alluvioni colpendo 2 milioni di persone con mille morti;
    - nel 2003 si è avuta la più forte ondata di calore che ha provocato 35 mila morti; da qui al 2020 si prevede un aumento delle morti per onde di calore di oltre il 400%.”
    Cifre; sempre cifre, si dirà; ma sono cifre che dovrebbero far riflettere, allarmare l’opinione pubblica, ma dato il lento evolversi le persone ci vivono in mezzo come se si trattasse di un fatto naturale: tanto si deve prima o poi morire; ma quelle sono cause che avvantaggiano il prima e non in forma indolore, ma con lenta agonia, dato che la medicina ha fatto anch’essa passi da gigante e consente un ritardo e quindi si muore un po’ per giorno.
    Guarda caso: nessun accenno, da parte delle unità sanitarie, ai disastri paventati dal nucleare o dalle sue scorie!
    Ma non basta: in tutto questo non si tien conto di altri costi: I disastri previsti per l’approvvigionamento del materiale atomico sono ancora da accertare; al contrario quelli connessi per l’uso dei combustibili fossili vengono accettati come un fatto naturale: i disastri nelle miniere di carbone, da Marcinelle agli ultimi in Russia ed in Cina, i cui dati ufficiali ammettono oltre 6mila morti nel 2004 e 8mila nel 2003, senza tener conto delle malattie professionali connesse con quelle attività.
    Si aggiungano i disastri ecologici delle petroliere; i disastri degli impianti idroelettrici; oltre 2mila morti nel Vajont e la distruzione di un’intera vallata; analogo disastro al Frejus fra i più noti qui da noi (non parliamo della solita Cina).
    In merito, poi, ai depositi di petrolio intorno alle grandi città, la vicinanza degli impianti alle abitazioni ha un importante effetto relativo alle patologie per effetto degli inquinanti che, anche in condizione di normale operatività,vengono rilasciati.
    A Priolo, una ricerca effettuata dall’osservatorio epidemiologico della regione Sicilia, mostra che nell’area di Augusta-Priolo si è registrato un aumento di patologie tumorali sia negli uomini che nelle donne, con dati preoccupanti specie, tra gli uomini, per il tumore del colon retto, polmone e pleura.
    Tra le patologie non tumorali si segnala un aumento di mortalità per quelle respiratorie acute.
    Anche a Gela si è registrato un aumento di patologie tumorali sia negli uomini che nelle donne ed in particolare dei tumori dello stomaco, del colon-retto, laringe, bronchi, polmoni e vescica.
    Gli effetti della pessima gestione delle aree industriali è stato, del resto, confermato dallo studio effettuato nel 2002 dall’ OMS per conto del ministero dell’ambiente. Sulle 15 aree ad alto rischio di crisi ambientale è stato rilevato un eccesso di 800 morti l’anno rispetto alle medie attese, pari al 2.5% con picchi a Brindisi (+55% dei tumori per i maschi), a Crotone (+46%), a Taranto (+22%), a Massa-Carrara (+21%), Augusta-Priolo e Napoli (+15%).
    Altro che Cernobyl!
    Mentre le organizzazioni sanitarie denunciano questi fatti, nessun accenno ai disastri paventati dal nucleare o dalle sue scorie benché in Europa siano attive, da quel referendum, ben 209 centrali nucleari per una potenza totale di 171.454 milioni di watt.
    Ma c’è stato Chernobyl!
    A Chernobyl durante l’esplosione del nocciolo morirono 2 lavoratori della centrale travolti dei detriti. Altre 134 persone (pompieri ed esercito, circa 1000) che intervennero per spegnere l’incendio furono intossicate dalle radiazioni (non disponevano di protezioni).
    Di queste 28 morirono nel 1986 e 19 nei vent’anni successivi.
    In totale un rapporto della FAO, poi confermato dal Chernobyl Forum, stima che vi siano state 58 vittime del disastro dal 1986 al 2006.
    Il Chernobyl Forum è stato un incontro istituzionale promosso dall’IAEA che ha avuto luogo dal 3 al 5 febbraio 2003, a Vienna. Vi hanno partecipato, oltre all’IAEA, altre organizzazioni dell’ONU (FAO, UN-OCHA, UNDP, UNEP, UNSCEAR, OMS), la Banca Mondiale e le autorità della Russia, della Bielorussia e dell’Ucraina. Un secondo incontro si è tenuto il 10 e 11 marzo 2004 e un terzo dal 18 al 20 aprile 2005.
    Lo scopo degli incontri è stato quello di mettere in chiaro in maniera scientifica gli effetti sulla salute e sull’ambiente del disastro di Chernobyl (26-4-1986)
    Non è il caso di dire che gli ecologisti petrolieri smentiscono questi dati ufficiali con le solite affermazioni di sempre.
    Ritornando al clima, si è assistito ultimamente a visioni televisive in cui mostravano il crollo del fronte ghiacciato della Groenlandia ed alla frantumazione della banchisa polare: quest’ultimo mi è paso molto grave non solo per gli orsi ma per il fatto che la frantumazione deriva da un assottigliamento del ghiaccio ed il suo rapido scioglimento con riduzione della superficie ghiacciata.

    “Le immagini satellitari dimostrano, basandosi su un calcolo stimato nell’arco degli ultimi 25 anni, un significativo calo che porta la coltre del ghiaccio ad un livello esiguo, una flessione da record negativo su base annua: era sui 8 milioni di chilometri quadrati agli inizi degli anni 1980 per scendere nel 2005 a meno di 5.5 milioni di chilometri quadrati. Secondo gli scienziati dell’ESA, questi cambiamenti potranno verosimilmente dare adito ad un aumento delle temperature e le immagini satellitari confermano pure un calo dei ghiacci perenni negli ultimi anni. Le ragioni di questo drammatico cambio climatico sono ancora sconosciute anche se i ricercatori credono che gli uragani di agosto abbiano giocato un ruolo significativo”.

    (Fonte: European Space Agency / settembre 2006)

    Dunque da 8 milioni di Km² del 1980 si è ridotto a 5.5 milioni del 2005 pari a circa il 70%; poiché il nostro tipo climatico è una interazione fra la sorgente fredda polare e sorgente calda tropico-equatoriale, che sono i due motori che determinano i movimenti dell’aria a seconda delle stagioni, è intuibile la dinamica del clima.
    Fintanto che c’è stato ghiaccio da sciogliere, l’aumento termico ha avuto una progressione abbastanza lenta in correlazione all’incremento della CO2, ma con la riduzione della superficie fredda viene a ridursi lo scambio di calore e pertanto il motore freddo perde di potenza mentre il motore caldo viene alimentato, oltre che dell’effetto serra, anche dalla diminuzione dell’effetto refrigerante.
    Viene ad instaurasi un effetto perverso di accelerazione del progressivo riscaldamento con modificazioni del clima come preconizzato da esperti del settore: dilatazione della zona tropicale più verso Nord e restringimento della zona fredda. C’è da temere che da questo momento in poi questo fenomeno sia destinato ad avere un andamento esponenziale, soprattutto con le pecette che si tenta di mettere alla combustione fossile.
    Ma questo non coinvolge solo l’aria; si trasferisce anche sulle correnti marine dovuta alla differenza di densità dell’ acqua fredda dell’Oceano Artico on quella calda del Golfo del Messico che da luogo alla Corrente del Golfo; questa porta calore nel Nord Europa: l’aumento del volume di acqua fredda e leggera contrasta la Corrente del Golfo e la devia verso il basso e verso le coste Americane riscaldando la corrente fredda del Labrador; si ha notizia che a New York in questi giorni stanno fiorendo le piante.
    A mio parere si è superato il punto di non ritorno perché questo fenomeno del ritiro dei ghiacci ha innestato un ciclo perverso e ci vorranno secoli prima che il sistema terra-mare-aria abbia digerito questa scorpacciata di energia che l’uomo ha estratto in un secolo e che la natura aveva nascosto in migliaia di anni per darci un ambiente in cui vivere.
    Menomale che ci sono Kyoto ed i verdi che ci consolano con le loro energie alternative (che poi sono quelle preindustriali con l’aggiunta del solare, circa 200 W/m² su base annua!); l’unico guaio è che vanno moltiplicate per qualche milione di volte per far fronte alle esigenze della vita moderna ed una industria tecnologica tutta da inventare!
    Firenze: 14– 1 – 2007 Dott. Ing. Sergio Mannucci

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