Archivio di Aprile 2007

Italiani i più infelici in Europa

Lunedì 30 Aprile 2007

Caro De Carlo,
l’altro giorno sfogliando un giornale inglese (mi trovavo a Londra per lavoro) mi sono imbattuto in una ricerca condotta dalla Cambridge University e diretta – interessante particolare – da una docente italiana. La ricerca si occupa del grado di felicità delle popolazioni europee. La sua attendibilità mi pare fuori discussione considerando che sono stati intervistate ben 20 mila persone.
Ebbene, con mia grande sorpresa, ho scoperto che gli italiani si dicono poco felici. Più infelici di loro ci sono solo i francesi, i greci e i portoghesi. Mentre al contrario ai primi posti ci sono due popolazioni scandinave e quella irlandese.
E allora mi chiedo: il Belpaese, come si usava dire una volta, non era quello della dolce vita, vale a dire quello in cui gli abitanti pur gravati dai ben noti guai riuscivano tuttavia a godersi la vita?
Secondo lei da cosa dipende questa infelicità?
Giorgio Mantovani
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Sono andato a cercarmi su Internet i risultati della ricerca. E le rispondo con le conclusioni della docente italiana, Luisa Corrado. L’infelicità degli italiani deriva dalla mancanza di fiducia nelle istituzioni, nel sistema sociale e nell’avvenire. ‘’L’idea che i popoli più felici siano quelli che vivono in luoghi ameni come quelli che si trovano sul Mediterraneo è falsa – scrive la studiosa – Italia, Portogallo e Grecia sono costantemente agli ultimi posti in queste due classifiche che segnalano i tassi di felicità e soddisfazione’’.
Mi paiono conclusioni incontrovertibili, perché se così non fosse ai primi posti non si troverebbero nell’ordine danesi, finlandesi e irlandesi, vale a dire popoli che dovrebbero essere depressi a causa del clima inclemente anche d’estate e del buio che li affligge nel lungo inverno nordico. Vuol sapere come motivano i danesi il loro tasso di felicità? Così: abbiamo fiducia nelle nostre istituzioni e nel nostro sistema sociale. E ancora: la nostra politica sarà noiosa e provinciale, ma ci assicura ordine e sicurezza, bassa disoccupazione ed è basata sulla famiglia reale che noi tutti amiamo.

Da queste risposte possiamo dedurre che la felicità non deriva dalla qualità della vita ma dalla fiducia. Spiega la studiosa: ‘’Lo studio dimostra che avere fiducia nella società in cui si vive è veramente importante. I Paesi in testa a questa classifica sono quelli che credono nelle loro istituzioni, nelle leggi e nell’immagine che proiettano’’.
L’Italia non rientra nell’identikit della felicità. Le sue istituzioni più che inefficienti sono ridicole. Fanno riferimento a una ventina di partiti, alcuni dei quali anacronistici. Basta pensare che ci sono ancora due partiti comunisti in un’Europa decomunistizzata. La sua economia è in declino. Le infrastrutture sono rimaste agli anni sessanta. I trasporti sono un martirio. I giovani non trovano lavoro o sono sottopagati e dunque faticano a costruirsi una famiglia e mantenere dei figli. I pensionati ormai sono più numerosi dei lavoratori attivi. Scioperi, burocrazia tardiva e pigra. L’altro giorno la Corte di Giustizia europea ha condannato l’Italia per inadempienze nella gestione dei rifiuti. Il Consiglio d’Europa ha definito la giustizia italiana una delle peggiori del continente. Eccetera. Eccetera. L’Italia è una nazione vecchia. Sopravvive. Ma la felicità è un’altra cosa.

Mezzo milione di morti sulle strade

Lunedì 23 Aprile 2007

Lo sapeva che la più frequente causa di morte fra i giovani è la strada? So che i vostri giornali si battono da tempo contro le cosiddette stragi del sabato sera. Ma il fatto è che si muore anche di domenica, di lunedì, martedì e via dicendo.
Penso che al di là degli appelli, dell’orario delle discoteche, della maggior sorveglianza su strade e autostrade, delle auto più sicure, ci voglia una campagna di educazione nelle scuole. E’ da bambini che si imparano a rispettare le regole della civile convivenza, fra le quali in primo luogo considerare la strada per quello che è: un mezzo per spostarsi e comunicare e non una pista per gare, esibizionismi, prepotenze.
Armando Tirelli

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Sì, caro Tirelli, lo sapevo. Ma sono rimasto sbalordito quando, dopo la sua lettera, sono andato a guardarmi le statistiche della World Health Organization, una delle poche organizzazioni dell’Onu che svolge un lavoro meritevole. Ho scoperto che ogni anno in incidenti stradali muoiono quasi mezzo milione di persone e che 150 mila hanno fra i 10 e i 24 anni.
La strada è al primo posto in questa fascia di età, come causa di morte. Al secondo l’Aids, al terzo complicazioni respiratorie, al quarto i suicidi, al quinto la violenza, al sesto la tubercolosi, al settimo annegamenti, all’ottavo incendi, al nono la guerra, al decimo la leucemia.
Il rapporto è recentissimo, ma ne ho avuto anticipazioni. Sarà presentato alla stampa a Washington entro la settimana. E con esso saranno chiesti interventi alla World Bank: i Paesi poveri e in quelli in via di sviluppo dovranno impegnarsi a investire il 10 per cento degli aiuti economici in impianti di sicurezza stradale, come guardrail, barriere, corsie protettive per motociclisti (il 75 per cento dei morti in Cambogia) e ciclisti, illuminazione, bump. La strada – è stato calcolato – ha anche una ricaduta economica: il costo annuale per cure mediche, invalidità permanenti, danneggiamenti, cause legali è di 518 miliardi di dollari. Quanti ospedali, quante scuole, quante infrastrutture si potrebbero costruire? E quanti milioni di persone sarebbero ancora vive?

La Turchia e l’Europa

Domenica 22 Aprile 2007

Caro De Carlo,
sono rimasto inorridito nel leggere che in Turchia sono state sgozzate quelle persone per il solo fatto di avere pubblicato la Bibbia e altri libri ‘’infedeli’’. E mi chiedo come sia possibile ipotizzare che un giorno la Turchia entri a far parte dell’Unione Europea.
Non mi sembra davvero che un Paese islamico, governato da una classe dirigente islamica, imbevuto di fanatismo anticristiano e dunque antioccidentale, possa essere compatibile con i sistemi liberali, tolleranti, democratici, rispettosi dei diritti civili come quelli che - grazie al cielo - abbiamo qui nell’Europa occidentale.
Se una cosa del genere fosse accaduta da noi, le ripercussioni sarebbero state enormi. Non mi risulta che in Turchia ci siano state forti condanne o particolari reazioni di sdegno.
Non mi firmo per intero per evitare grane.
M. F.

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La prudenza non e’ mai troppa. Ma battute a parte, non mi sembra che in Turchia siano mancate le condanne per quell’efferato delitto avvenuto in una remota regione dell’Anatolia.
Il governo di Erdogan ha reagito con energia. Ha arrestato gli assassini e ha fatto di tutto per placare le apprensioni della Germania (uno degli sgozzati era un tedesco). Dalla Germania in particolare dipendono le possibilita’ di associazione della Turchia all’Ue.
Capisco che a molti non basti. Capisco i dubbi e i timori di un’associazione definita contronatura, essendo troppe profonde le differenze di cultura, mentalita’, costumi fra l’Asia Minore e l’Europa. Ma la classe dirigente turca e’ da tempo occidentalizzata. La societa’ e’ laica, nel senso che per volere di Ataturk soggiace al principio costituzionale della separazione fra sfera politica e sfera religiosa. E inoltre va tenuta presente una considerazione geopolitica.
Dia un’occhiata alla carte geografica e un’altra alla storia della Turchia. Si accorgera’ allora che quello turco e’ un popolo fiero, erede di un impero, dotato di un esercito che nella Nato passa per uno dei piu’ efficienti. Si ricordera’ anche che i turchi non sono arabi.
Se un giorno la Turchia – Dio non voglia – respinta dall’Europa si votasse a un fondamentalismo di tipo iraniano, sarebbero guai per l’intera Europa.
Si’. Sento gia’ l’obiezione: questo e’ un ricatto.
Risposta: no, non lo e’. Il mancato ingresso della Turchia in Europa sarebbe un’occasione storica perduta. Per entrambi: per la Turchia che si vedrebbe risospinta verso il Medio Oriente e per l’Europa che chiuderebbe la porta a un Paese ansioso di europeizzarsi.

L’Onu, l’Iran e la bomba

Domenica 15 Aprile 2007

Caro De Carlo,
se non fosse stato per il Foglio, giornale che leggo quotidianamente (quando lo trovo), mi sarebbe sfuggita la notizia che getta nuovo discredito sull’Onu. Lo sa che a vicepresidente della Commissione Disarmo, al Palazzo di Vetro, è stato eletto un iraniano?
Sono sbalordito. L’Iran di Ahmadnejad non è forse il Paese che, sfidando i trattati sottoscritti, le ingiunzioni dell’Onu e le ispezioni dell’Agenzia atomica, si sta costruendo la bomba? Quale credibilità può avere un organismo che in un posto così delicato elegge proprio colui che apertamente, platealmente, arrogantemente lo contraddice e lo mortifica?
Piergiorgio Satolli

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Nessuna credibilità, caro Satolli. E non lo scopriamo noi. Ma non abbiamo alternative. Dobbiamo accontentarci di quello che abbiamo.
L’Organizzazione delle Nazioni Unite è nata male quando, oltre mezzo secolo fa, i vincitori della seconda guerra mondiale vollero ritentare l’esperimento già fallito con la Lega delle Nazioni. Purtroppo non ne trassero alcuna lezione e così nell’Assemblea ammisero tutti i Paesi con governi riconosciuti , indipendentemente dal fatto che fossero o no liberi e democratici. Risultato: su 180 e passa membri quelli con istituzioni davvero democratiche e rappresentative delle rispettive popolazioni sono una piccola minoranza ma comunque tutti suscettibili di entrare a far parte a rotazione del Consiglio di Sicurezza, che dell’Onu è l’organo esecutivo.
Nessuna sorpresa allora se spesso le pronunce del Consiglio sono vuote, ambivalenti, inefficaci. I principi che le democrazie occidentali vorrebbero difendere non sono certo i principi delle dittature, delle teocrazie, dei regimi autoritari che tengono elezioni burletta tali da far credere che rispettano la famosa carta dell’Onu..
Lei mi cita l’elezione di un iraniano a vicepresidente della Commissione disarmo. Io le posso citare un altro caso sconcertante: la presenza da molti anni nella Commissione Onu per i diritti civili di Cuba, Siria, Sudan, Cina. Come vede si tratta di Paesi che quegli stessi diritti calpestano sistematicamente, eliminando i dissenzienti e mantenendo regimi di censura e paura. Alcuni nemmeno si fanno scrupolo di coprire tali violazioni sotto la finzione di una democrazia di facciata. Questa è l’Onu, della quale la nostra sinistra fa un feticcio, invocandone l’intervento, ogni volta che scoppia una crisi internazionale.

Il bue e l’asino

Domenica 15 Aprile 2007

Il bue che dà del cornuto all’asino: Cofferati accusa la Moratti di fare un “uso populistico della piazza”….
Alenu1@tin.it

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Già! Da che pulpito viene la predica! Nei decenni Cofferati ha costruito la sua carriera facendo scendere in piazza gli iscritti alla sua Cgil e gli ‘’utili idioti’’ (secondo la definizione leninista) degli altri sindacati