Archivio di Maggio 2007

Un presidente disastroso (ma non troppo)

Lunedì 14 Maggio 2007

Buonasera , cosa ne pensa di Bush dopo aver letto questo articolo?

Se la Francia ha il presidente nuovo, gli Stati Uniti devono inventarne uno: Bush non c’è più. Escluso perfino dall’elenco dei 100 uomini che contano nel mondo. Sembra uno scherzo: chi guida la superpotenza non conta niente. Bush in caduta libera: 28 per cento di gradimento. Mai un capo di stato era scivolato tanto in basso, perfino più in basso ( qualche decimo ) del Jimmy Carter colpito a tradimento nel 1979 mentre si impegnava a contenere la scalata di Reagan. Il sequestro dei diplomatici Usa nell’ambasciata di Teheran e il fallimento del blitz che doveva liberarli ( sospetti di un sabotaggio Cia ) lo ha messo al tappeto. E Reagan ha vinto a mani basse.
Ma i problemi lasciati da Carter rimpiccioliscono se confrontati ai disastri dell’eredità Bush. A parte un debito estero mai sopportato dagli Stati Uniti, gli errori degli ultimi anni mettono in discussione l’architettura finanziaria che ha permesso al grande paese di controllare il mondo, America Latina, soprattutto. Banca Mondiale e Fondo Monetario sono alle corde. Casse vuote. Rosso profondo che umilia un potere assoluto fino a qualche anno fa: prestiti a paesi sciuponi o corrotti o tormentati da inquietudini endemiche, obbligavano al rigore di politiche economiche manipolate a Washington perché Fondo Monetario e Banca Mondiale sono controllate dalla Riserva Federale degli Stati Uniti.
Buona parte delle 186 nazioni associate al Fondo imploravano prestiti concessi con la mano dura di chi voleva essere sicuro del pagamento degli interessi e, nello stesso tempo, legare ogni strategia alle convenienze della Casa Bianca. Circuito non virtuoso che ha stremato regioni africane e latine ricche di risorse naturali; miniere, petrolio e colture in ostaggio come garanzia. La disattenzione dell’amministrazione Bush e l’ossessione del petrolio iracheno, hanno sgretolato due istituzioni inossidabili. Un comunicato del dipartimento finanziario Usa fa capire come l’allarme abbia superato ogni pessimismo. Invita a ridimensionarne le strutture: gnomi dal potere implacabile costretti a fare le valige. Buona parte dei debitori si è liberata della tutela restituendo i prestiti, soprattutto nell’America Latina dove Chavez fa concorrenza al Fondo e alla Banca Mondiale anticipando petrodollari ai paesi indebitati. I quali hanno liquidato le pendenze evitando gli interessi da usura del Fondo e della Banca Mondiale e riguadagnando l’indipendenza politica che permette libera scelta delle alleanze economiche a capi di stato fino a ieri sotto tutela.
Senza il Consenso di Washington era impossibile sopravvivere. Argentina, Brasile, Uruguay, Bolivia, naturalmente il Venezuela, ma anche Ecuador e Nicaragua oggi cominciano a decidere da soli. Ultimo colpo la Russia di Putin: ha chiuso i conti, non le servono altri prestiti. Per quanto tempo non si sa, ma per il momento l’ aria è cambiata. E i due istituti in affanno sono obbligati ad invocare l’assistenza finanziaria della banca JP Morgan –Chase e della riserva federale degli Stati Uniti. Servono 165 milioni di dollari nel 2007; 220 milioni nel 2008; 270 nel 2008; 400 milioni nel 2010. Per restare a galla vendono l’oro di riserva, ma 7 miliardi di dollari non sembrano sufficienti a mantenere lo standard. Anche perché ultimi clienti di peso restano Turchia e Ucraina, in ritardo nel pagamento delle rate.
Ma la Casa Bianca di Bush è distratta da altri pensieri: deve vincere la guerra irachena e non potendo sfidare l’opinione pubblica con l’invio di truppe ufficiali, allarga gli eserciti ombra dei mercenari, o contractors, come il perbenismo delle multinazionali preferisce definirli. Macchine umane senza nome, nessuna pensione e quando muoiono non sono mai esistiti: gli elenchi delle vittime non li contemplano. Nessuno sa cosa fanno e dove sono in Iraq o in altri posti.
Che a Bagdad vada male lo si capisce non solo dai bollettini Tv, ma dai reclutamenti che la Black Water sta tentando in America Latina. Difficile, ormai, trovare contractors dal passaporto stelle e strisce. Perfino gli immigrati latini che accettavano l’ingaggio con la speranza di strappare la cittadinanza nell’ America dove trovano il pane, anche loro rifiutano il rischio e la Black Waters batte altri paesi. Mille uomini reclutati dall’inizio dell’anno in Uruguay, Colombia, Ecuador e Honduras.
Proprio nella base Usa dell’Honduras c’è un campo di addestramento rapido: dopo una settimana i neofiti volano a Bagdad. La paga del mercenario non ricorda la paga del primo Iraq: i 7 mila dollari al mese restano un sogno. Promettono 4 mila dollari, ne pagano mille. Il resto al ritorno, se tornano. Con la vittoria dei Democratici e il loro mettere il naso nelle spese, ha consigliato la Black Water a non far passare le reclute dai poligoni di Moyok, Nord Carolina, tre mila ettari dove sono possibili manovre talmente perfette da accogliere marines in divisa, Dipartimento di Stato che paga. Anche l’Halliburton del vice presidente Cheney ormai non trova mercenari affidabili per proteggere la zona verde dei comandi e delle ambasciate di Bagdad.
AndreaSerafini1@virgilio.it

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Penso che lei lo abbia scritto in un momento di malumore. Che l’eredità di Bush in politica estera sia disastrosa, è un fatto. Ma che gli Usa con due guerre in corso siano cresciuti economicamente tre volte più dell’Europa è un altro fatto. E dopo – non dimentichiamolo – avere subito sul loro stesso territorio l’attacco più devastante dai tempi di Pearl Harbor. Il che vuol dire che – sondaggi a parte – questo presidente non ha combinato solo disastri. Il suo sbaglio maggiore semmai è stato quello di avere scelto i ministri e i collaboratori sbagliati. Ma questa non è una scusa. La colpa è sempre di chi comanda.

Blind trust all’americana

Domenica 6 Maggio 2007

Caro De Carlo,
mi puoi spiegare come funziona veramente la legge sul blind trust negli States?

Come certamente sai, il Bazurlone dice di volere introdurre anche da noi questa legge e ricalcherebbe il modello americano. Quindi niente di drammatico.
Però, anche se ragionando in astratto potrei essere d’accordo sul fatto che potrebbe essere pericoloso associare grandi poteri politici a grandi patrimoni, mi chiedo, mettendomi immeritatamente nei panni di Berlusconi (perché in fondo è solo di lui che si tratta): chi decide chi amministrerà i miei beni, e con quali poteri?
Perché se io (sempre temporaneamente Berlusconi) posso decidere che i miei beni saranno amministrati dai miei figli e/o da Fedele Confalonieri, o Gianni Letta, è un conto, ma se il tutto dipenderà da persone scelte, ad esempio, da Prodi o Diliberto o Pecoraro Scanio (sempre con rispetto parlando), e dotate di tutti i poteri decisionali, allora sono sicuro che alla fine del mandato politico resterà ben poco del mio patrimonio.

Enrico Mengoli, Bologna

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…Si parla molto di blind trust. Prodi dice che in America funziona e che i politici sono messi in condizione di non approfittare delle loro cariche istituzionali per promuovere gli affari privati.
…Le sarei grato se lei, che conosce gli States tanto bene, mi desse qualche lume al riguardo.
Angelo Ripamonti, Milano

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Cominciamo con l’eliminare un equivoco. Il blind trust o affidamento cieco (delle proprietà) non è una legge. E’ una prassi. E nemmeno molto antica. E’ solo da Jimmy Carter in poi che gli eletti alla Casa Bianca hanno ritenuto opportuno per una questione etica di affidare i propri beni a un amministratore indipendente durante l’intera durata del mandato. Il quale amministratore non sempre si rivela abile o fortunato. Per esempio il padre di Bush, presidente dal 1988 al 1992, ci rimise un bel po’. Ma questo è un altro discorso.
Negli Stati Uniti nessuno si sognerebbe mai di imporre o nominare l’amministratore del blind trust. La scelta è fatta di comune accordo fra l’interessato e l’ufficio per l’etica del governo.
Questo per quanto riguarda il presidente e i membri del suo gabinetto. Per il potere legislativo (Camera dei Rappresentanti e Senato) e per il potere giudiziario gli organi di controllo prevedono tre principi. Primo: la trasparenza alla quale tutti i candidati sono tenuti, vale a dire l’obbligo di rivelare attività patrimoniali al di sopra del valore di mille dollari. Secondo: l’adozione di misure per evitare la percezione del conflitto di interessi. Terzo: la ricusazione da attività o decisioni che possano riguardare funzioni pubbliche attraverso le quali il diretto interessato potrebbe trarre vantaggi finanziari o patrimoniali.
Come si vede queste regole si basano sul buon senso e sul pragmatismo, tipici della tradizione anglosassone, e non su rigide previsioni legislative. Non hanno risvolti punitivi. Non espropriano nessuno. Se non vengono rispettate la ricaduta d’immagine è tale da provocare immediate, negative reazioni. Illustri carriere ne sono rimaste compromesse o irrimediabilmente rovinate.

Domenica 6 Maggio 2007

Energia dal sole come insegna la Germania

Domenica 6 Maggio 2007

Navigando su Internet e avendo la fortuna di conoscere l’inglese di tanto in tanto entro del sito dei giornali americani, indispensabili – a mio parere – per chiunque voglia sapere che cosa davvero succede nel mondo. Ebbene l’altro giorno ho letto una cosa che non avevo letto in alcun giornale italiano e cioè che la Germania ha 20 centrali che producono elettricità con l’energia solare. Centrali fotovoltaiche. La Germania già oggi produce la metà dell’energia solare del mondo intero.
Sono rimasto di stucco. Se lo fa la Germania, che ha la metà del sole italiano, perché non lo possiamo fare anche noi? Soprattutto al sud, dove il sole splende molto più che al nord?
Da una graduatoria apprendo anche che al secondo posto c’è il Giappone. Seguono Stati Uniti, Australia, Spagna, Olanda. Il volume dell’energia prodotta è ancora irrisoria. Ma non è questo il punto. Il punto è che il suo prezzo è competitivo.
E l’Italia?
P.F., Reggio Emilia
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L’Italia continua a dormire il sonno degli ingenui. O degli irresponsabili. E per non morire di freddo d’inverno e di caldo in estate l’energia la compra in Francia e in Svizzera che la producono col nucleare. Motivo: le sinistre soffrono ancora della sindrome di Chernobil. Non sanno o non vogliono capire che Chernobil era una vecchia centrale di costruzione sovietica, tecnologicamente arretrata e che – secondariamente – se per accidente si verificasse una fuga di radioazioni in Francia i venti immancabilmente le spingerebbero verso l’Italia. Rifiutare il nucleare dunque non ci pone al riparo dai rischi (che comunque sono molto meno gravi di quanto la propaganda ostile ci vuol far credere).
Ma, come lei nota, non esiste solo il nucleare fra le energie alternative. Esistono anche il vento e il sole. Per quanto riguarda il sole, trovo anch’io paradossale che il sud d’Italia non pensi a sfruttare questa risorsa naturale. Lo capirei se i costi fossero proibitivi. Ma la Germania ci insegna che con la dovuta tecnologia l’energia solare è competitiva. Bastano tre persone a far funzionare una centrale elettrica. Sarebbe ora che i nostri governi alzassero gli occhi al di là delle Alpi e guardassero cosa fanno gli altri.

Pena di morte e demagogia

Domenica 6 Maggio 2007

Gent.mo signor DE CARLO dott. Cesare.
Passata l’onda emozionale della marcia dei “centomila”, in tutta tranquillità, e nel bel mezzo del successo al Parlamento europeo dell’iniziativa, faccio alcune considerazioni sulla richiesta, fortemente rappresentata da alcune associazioni umanitarie e da alcuni partiti, di una moratoria mondiale della pena di morte.
Come credente, tutto quello che va a sostegno della sacralità della vita, in genere mi trova consenziente, questa volta però ho delle grosse perplessità di vario tipo.
Comincio con il dire che i promotori hanno una concezione illiberale del rapportarsi con gli altri, e che usano metodi violenti per cercare di imporre al mondo il loro pensiero: Si metodi violenti, perché lo sciopero della fame (se fatto seriamente tipo IRA, porta alla morte) è una forma di violenza verso se stessi e verso la società (che è senza possibilità di difesa), davanti alla quale o si accetta il possibile ferale evento, con le relative implicazioni, o si cede al ricatto.
Mi si dirà che i suddetti digiunatori lo sono all’italiana, e che la risposta della società è altrettanto all’italiana, ma l’intenzione violenta rimane.
Un’altra violenza è insita nell’obiettivo che si pongono, quello di avere una moratoria mondiale sulla pena di morte:
Con la loro azione non cercano di convincere le cinquantacinque nazioni nelle quali si pratica ancora la pena di morte, ad abbandonare tale pratica, bensì di far pressione sugli altri Stati, nei quali la pena di morte è stata già abolita, affinché votino una risoluzione dell’ONU attraverso la quale “imporre”, a chi ha altre convinzioni, di congelare a tempo indeterminato le sentenze di morte già comminate, e quelle future, nonché le relative esecuzioni.
La principale delle ragioni addotte, è che trattasi di pratica incivile.
Sono in linea di principio contrario alla pena di morte, perché non ho molta fiducia dell’infallibilità di giudizio delle Corti di giustizia nei vari stati del mondo, ed anche perché spesso c’è stato (ed c’è) un uso strumentale di tale pena; però ricordo in quanto a civiltà, che dagli albori della civiltà umana, a proseguire attraverso il patrimonio di cultura, scienza, spiritualità, che l’umanità ha prodotto nei millenni, fino a non tanti anni fa, tale pena era comunemente ritenuta “normale” in tutti gli Stati del mondo (stato del Vaticano compreso), senza che il suo uso abbia minimente inciso in negativo sul progresso socioeconomico e sulla progressione civile di tali stati. Chi non è progredito, non lo ha fatto, per ben altre cause.
Per ultimo, il motto che dà il nome ad una delle organizzazioni promotrici, “nessuno tocchi Caino”, mi lascia molto perplesso, infatti, sottintentende che anche chi commette i più nefandi crimini ha diritto alla sua propria vita; però i suoi adepti ed il partito ai quali fanno riferimento, quello Radicale, sono convinti sostenitori della civiltà dell’aborto e della necessità che venga resa ancora più semplice il suo esercizio. In pratica chiedono che la condanna a morte dei feti (futuri bambini) venga semplificata.
Non penso che mi possa dare del demagogo, se traggo la conclusione che salvare a tutti i costi i “Caino” ed eliminare a volontà gli “Abele”, non sia il massimo della coerenza. Come altrettanto incoerente è il sostenere che sia incivile ammazzare i criminali (sottoposti a regolare giudizio), e che sia invece civile eliminare i feti, futuri bambini, senza processo e relativa condanna a morte, sempre che non si ritenga che tale funzione venga svolta dalla “non madre” che richiede l’aborto.
Non aggiungo altro perché potrei cadere veramente nella demagogia.
Ringraziando per la cortese attenzione distintamente saluto.
Romolo Rubini
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Caro Rubini,
anche io sono contrario alla pena di morte. Ma quando assisto alla stupida demagogia di comunisti, neocomunisti, veterocomunismi, postcomunisti che per mezzo secolo non hanno detto beo mentre l’amata Unione Sovietica fucilava, torturava, spediva in Siberia decine di migliaia di persone, ree non di reati comuni ma di avere manifestato o lasciato intuire il proprio dissenso politico, mi sento portato a dissociarmi.
A mio parere il vero obiettivo della campagna non è l’abolizione della pena di morte nel mondo, ma solo e semplicemente fare dell’antiamericanismo. Non dimentichiamo però che in America esiste un vasto consenso e che sino a quando questo consenso rimarrà maggioritario i parlamenti dei 50 Stati dell’Unione lo rifletteranno. In ogni caso la materia è di competenza degli Stati federati e non dello Stato federale. A meno che non intervenga, come accadde negli anni settanta, una pronuncia della Corte Costituzionale.