Pena di morte e demagogia

Gent.mo signor DE CARLO dott. Cesare.
Passata l’onda emozionale della marcia dei “centomila”, in tutta tranquillità, e nel bel mezzo del successo al Parlamento europeo dell’iniziativa, faccio alcune considerazioni sulla richiesta, fortemente rappresentata da alcune associazioni umanitarie e da alcuni partiti, di una moratoria mondiale della pena di morte.
Come credente, tutto quello che va a sostegno della sacralità della vita, in genere mi trova consenziente, questa volta però ho delle grosse perplessità di vario tipo.
Comincio con il dire che i promotori hanno una concezione illiberale del rapportarsi con gli altri, e che usano metodi violenti per cercare di imporre al mondo il loro pensiero: Si metodi violenti, perché lo sciopero della fame (se fatto seriamente tipo IRA, porta alla morte) è una forma di violenza verso se stessi e verso la società (che è senza possibilità di difesa), davanti alla quale o si accetta il possibile ferale evento, con le relative implicazioni, o si cede al ricatto.
Mi si dirà che i suddetti digiunatori lo sono all’italiana, e che la risposta della società è altrettanto all’italiana, ma l’intenzione violenta rimane.
Un’altra violenza è insita nell’obiettivo che si pongono, quello di avere una moratoria mondiale sulla pena di morte:
Con la loro azione non cercano di convincere le cinquantacinque nazioni nelle quali si pratica ancora la pena di morte, ad abbandonare tale pratica, bensì di far pressione sugli altri Stati, nei quali la pena di morte è stata già abolita, affinché votino una risoluzione dell’ONU attraverso la quale “imporre”, a chi ha altre convinzioni, di congelare a tempo indeterminato le sentenze di morte già comminate, e quelle future, nonché le relative esecuzioni.
La principale delle ragioni addotte, è che trattasi di pratica incivile.
Sono in linea di principio contrario alla pena di morte, perché non ho molta fiducia dell’infallibilità di giudizio delle Corti di giustizia nei vari stati del mondo, ed anche perché spesso c’è stato (ed c’è) un uso strumentale di tale pena; però ricordo in quanto a civiltà, che dagli albori della civiltà umana, a proseguire attraverso il patrimonio di cultura, scienza, spiritualità, che l’umanità ha prodotto nei millenni, fino a non tanti anni fa, tale pena era comunemente ritenuta “normale” in tutti gli Stati del mondo (stato del Vaticano compreso), senza che il suo uso abbia minimente inciso in negativo sul progresso socioeconomico e sulla progressione civile di tali stati. Chi non è progredito, non lo ha fatto, per ben altre cause.
Per ultimo, il motto che dà il nome ad una delle organizzazioni promotrici, “nessuno tocchi Caino”, mi lascia molto perplesso, infatti, sottintentende che anche chi commette i più nefandi crimini ha diritto alla sua propria vita; però i suoi adepti ed il partito ai quali fanno riferimento, quello Radicale, sono convinti sostenitori della civiltà dell’aborto e della necessità che venga resa ancora più semplice il suo esercizio. In pratica chiedono che la condanna a morte dei feti (futuri bambini) venga semplificata.
Non penso che mi possa dare del demagogo, se traggo la conclusione che salvare a tutti i costi i “Caino” ed eliminare a volontà gli “Abele”, non sia il massimo della coerenza. Come altrettanto incoerente è il sostenere che sia incivile ammazzare i criminali (sottoposti a regolare giudizio), e che sia invece civile eliminare i feti, futuri bambini, senza processo e relativa condanna a morte, sempre che non si ritenga che tale funzione venga svolta dalla “non madre” che richiede l’aborto.
Non aggiungo altro perché potrei cadere veramente nella demagogia.
Ringraziando per la cortese attenzione distintamente saluto.
Romolo Rubini
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Caro Rubini,
anche io sono contrario alla pena di morte. Ma quando assisto alla stupida demagogia di comunisti, neocomunisti, veterocomunismi, postcomunisti che per mezzo secolo non hanno detto beo mentre l’amata Unione Sovietica fucilava, torturava, spediva in Siberia decine di migliaia di persone, ree non di reati comuni ma di avere manifestato o lasciato intuire il proprio dissenso politico, mi sento portato a dissociarmi.
A mio parere il vero obiettivo della campagna non è l’abolizione della pena di morte nel mondo, ma solo e semplicemente fare dell’antiamericanismo. Non dimentichiamo però che in America esiste un vasto consenso e che sino a quando questo consenso rimarrà maggioritario i parlamenti dei 50 Stati dell’Unione lo rifletteranno. In ogni caso la materia è di competenza degli Stati federati e non dello Stato federale. A meno che non intervenga, come accadde negli anni settanta, una pronuncia della Corte Costituzionale.

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