L’ombra dell’Iran sulla lotta fratricida

NEPPURE il solenne giuramento sul Corano alla Mecca ha potuto evitare il divampare della guerra intestina. La chiave di lettura di una lotta fratricida che pare senza senso è racchiusa nell’insulto che gli uomini del presidente Abu Mazen scagliano contro gli avversari, gli integralisti di Hamas. Li accusano di essere «sciiti», ossia al servizio dell’Iran. La visita del primo ministro Haniyeh al presidente Ahmadinejad nel dicembre del 2006, le ambigue rassicurazioni del premier sul fatto che non avrebbe riconosciuto Israele e le generose (e interessate) regalie del regime teocratico, 35 milioni di dollari in contanti, hanno scavato un fossato incolmabile fra le due anime del popolo palestinese. Abu Mazen, il capo dello stato, guida Al Fatah, il movimento laico e nazionalista fondato da Yasser Arafat che, firmando gli accordi di Oslo del 1993, è entrato nella logica del negoziato con Israele e della convivenza di due popoli in due stati.
Hamas ha costruito le sue fortune politiche contestando quella storica intesa e inaugurando la lunga stagione dei kamikaze, gli uomini - bomba che prendevano di mira i bus israeliani. Essendo un partito religioso, non può annacquare il dogma della lotta contro l’occupazione del «territorio islamico». Per questa ragione non ha mai riconosciuto il diritto di Israele ad esistere. La sua massima «concessione» al nemico è una tregua di venti o trenta anni in cambio di un ritorno di Gerusalemme ai confini del 1967, i territori che lo stato ebraico controllava prima della guerra dei sei giorni.

LE ELEZIONI legislative del 30 gennaio 2006, vinte a man bassa da Hamas, sono state una svolta che Al Fatah ha accettato a denti stretti. I fondamentalisti hanno conquistato moltissimi seggi locali uninominali grazie alle divisioni interne che hanno lacerato il partito di Abu Mazen. Nelle percentuali complessive di consenso la distanza fra il Movimento di Resistenza Islamica e Al Fatah fu infatti di pochi punti. Applicato su questo baratro di divergenze politiche e di odio crescente, l’accordo dell’8 febbraio alla Mecca, perseguito con forza dal re saudita Abdallah, si è rivelato per quello che era, solo un precario cerotto. Hamas si è impegnata a un evanescente «rispetto» degli accordi di Oslo. Il suo esercito, le Brigate Ezzzedin Al Qassam, ha continuato ad accumulare armi.
La spirale si è avvitata nella ferocia dei giorni scorsi, nelle accuse reciproche di golpe fino al lancio di una granata anticarro nella casa del premier Haniyeh, illeso per puro miracolo. Ora i fondamentalisti sembrano intenzionati a spazzare via i «fratelli» nemici da Gaza. La temuta guerra civile palestinese è una realtà.

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