Un Becker a caccia
della propria identità

 
24 Giugno 2008 Articolo di Ubaldo Scanagatta
Author mug

Un cognome pesante da portare, quasi come il ricordo della vittoria su Agassi nell’ultima partita di Andre. Il guaio di chiamarsi Benjiamin. La gente corre a vedere un Becker che…non è Boris.

C’è un giocatore tedesco che si chiama Becker. Ma soffre di una grave crisi di identità. La gente, prima in Germania, ora qui a Wimbledon, sente dire: “C’è Becker!” E corre. Ma poi scopre che non è Boris, il vincitore di tre Wimbledon. E non è nemmeno suo parente.

Macchè!, è Benjiamin e a Wimbledon aveva passato un turno una sola volta _ figurarsi! _ nel 2006, prima di diventare un Becker noto anche lui. Per l’appunto proprio a un Becker, ma non a quello vero, era toccato metter fine alla leggendaria carriera di Andre Agassi. Un ace al centro, quattro set, 23.000 spettatori dell’Arthur Ashe Stadium commossi fino alle lacrime (non meno di Andre…), e milioni di fans commossi in tv. Un Becker che batte Agassi: per i giornalisti titolare fu un gioco da ragazzi.

Quel giorno Benjiamin si illuse di poter diventare un Becker per conto suo. Non avrebbe immaginato mai, elettrizzato da quel successo, che invece non sarebbe più riuscito a vincere un match in uno Slam, né quello successivo lì a New York, ridimensionato da Roddick (con tutti gli americani che da giorni scrivevano della sfida del secolo Andre-Andy, e del probabile passaggio di consegne), né nei sei Slam consecutivi in cui, peraltro, non sarebbe stato davvero baciato dalla buona sorte.

Bastino gli ultimi due esempi: all’Australian Open si è imbattuto in Djokovic, al Roland Garros in Nadal. Si può avere più sfortuna di così? Già incontrare Nadal in Australia e Djokovic a Parigi sarebbe stato meno peggio…

Per un annetto Benjamin, che pure avrebbe disputato un buon torneo a Bangkok (finale: battè Moya e Berdych, perse da Tursunov) issandosi fino a n.37 del mondo (best ranking), avrebbe tutto sommato vissuto abbastanza di rendita: “Per me l’importante era entrare nei tabelloni dei tornei…poi con il mio tennis avrei dovuto cavarmela” mi disse una volta, dopo aver raccontato l’esilarante esperienza di quando, studente tedesco, ottenne una borsa di studio alla Baylor University di Waco nel Texas, ai confini con il Messico (era un college che nel 1973 l’aveva offerta anche a me…ho ancora il depliant a casa…): “Atterrai prima a Dallas, vidi tanti grattacieli, rimasi entusiasta…e chiami subito casa. Poi dovetti prendere un altro aerino per Waco, Dio mio che delusione, tutte casucce, non un centro, non una sola cosa da vedere…ah sì, il museo della Doctor Pepper (una bibita assai diffusa negli Usa)!!!”

“Per un anno, prima di battere Agassi (che un pochino zoppicava…), ho frequentato il Tour, ma mi sedevo negli spogliatoi e nessuno mi filava…ero un Nessuno. Ora almeno diversi sanno chi sono, ma mi chiamano Benjiamin, quasi mai Becker…chissà perché!” E ride. Non gli manca sense of humour, anzi forse ne ha più dell’altro Becker, troppo presuntuoso e pieno di sé per averne.

Quando ad Agassi qualcuno chiese se gli avesse fatto effetto perdere l’ultimo match della vita da un…Becker, Andre o non colse o non volle dare gran soddisfazione: “Dovevo perdere da qualcuno…”. Quel giorno da Nobody Benjiamin divenne Somebody, da Nessuno Qualcuno.

Però le cose non sono più girate tanto bene, se è vero che da n.37 è sceso a n.116. Finchè oggi, guarda caso sul campo n.2, il famigerato “Cimitero dei campioni” Graveyard’s Court, il finto Becker ha fatto fuori la testa di serie n.4 del torneo, 6-4,6-4,6-4, sì Nikolay Davydenko. Ok, il russo non un erbivoro, né il favorito n.4 _ solo l’Atp insiste ottusamente perché si rispettino le classifiche del computer e gli inglesi le smentiscono troppo poco…_ il vero n.4., per tutti era ed è Andy Roddick (la cui quota, a 16, ritengo assurda, perché è vero che i favoriti sono i soliti tre, ma Roddick li ha battuti tutti e potrebbe riuscirci ancora, soprattutto sull’erba di Wimbledon dove è stato finalista qui due volte).

Tornando a Becker: “L’aver battuto Agassi in quella cornice, in quel momento…è stato bello…ma è anche un bel peso da sopportare. Quache volta mi sento quello che ha battuto Agassi, qualche volta però quel ricordo mi mette addosso maggior pressione…però cerco di non pensarci troppo. Cerco di essere felice per aver vissuto quel momento…e magari aggiungerne altri”.

Beh, ieri un altro ne ha aggiunto di sicuro.

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1 Commento a “Un Becker a caccia
della propria identità”

  1. Fabrizio b. scrive:

    Ricordo di una intervista del primo Becker, Boris intendo, che a una domanda che non ricordo con precisione come fosse formulata rispose dicendo, e questo lo ricordo abbastanza bene, che non sapeva darsi una spiegazione del perchè loro (i tennisti professionisti) giocassero meglio a tennis della maggior parte delle persone. Aggiunse che non avevano nulla in più ma che semplicemente giocavano meglio. Oltre alla ottime spiegazioni tecniche mi sentirei di suggerire a Boris un motivo in più del perchè sia stato il più giovane vincitore di Wimbledon. Karl Popper diceva che “tutta la vita è risolvere problemi”, ma di solito i problemi cerca di risolverli chi li ha. Chi riesce non ha alcun problema da risolvere. Pe r quanto riguarda il secondo Becker, Benjamin, avere lo stesso cognome del più celebre Boris certo non aiuta, ma in fondo credo che stia facendo una buona carriere: qualche risultato importante e alcune soddisfazioni tolte.

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