C’è un po’ di Italia nello scempio in Amazzonia

di Lorenzo Sani
Il re della soia adesso è chiuso nell’angolo, come un pugile in difficoltà. Blairo Maggi, 50 anni, origini bresciane, alla testa del più grande gruppo privato del mondo che commercializza il cereale indispensabile per la produzione di mangime animale, è accusato apertamente per la deforestizzazione dell’Amazzonia. L’imprenditore è anche governatore dello stato del Mato Grosso e la polizia federale ha messo i ferri al suo ministro per l’Ambiente, Moacir Pires , al termine di un’operazione durante la quale sono state arrestate altre 89 persone (anche agenti e funzionari addetti al controllo ambientale) con l’accusa di appartenere a un’organizzazione criminale che negli ultimi anni ha permesso la cancellazione illegale di 48.000 ettari di foresta. Un bel modo per festeggiare la Giornata mondiale dell’Ambiente, che si è celebrata proprio ieri. Dopo molteplici e inascoltati allarmi, gli ambientalisti ci hanno porvato anche col sarcasmo: Ignacio Lula, l’ex metalmeccanico divenuto nel 2002 il 30o presidente del Brasile, è stato insignito da Greenpeace, con altri cinque candidati (tra cui Maggi e il governatore del Paranà Simao Jatene), della Motosega d’oro 2005, quale responsabile del disboscamento che avanza al ritmo di un 6% all’anno. Quello appena trascorso ha sfiorato il record del 1994 quando furono distrutti oltre 28mila chilometri quadrati di foresta: un’area di 3000 chilometri quadrati più vasta della Sicilia. Il Brasile era guidato da Cardoso e i propugnatori del nuovo corso davano per scontata l’attenzione ambientalista di un uomo di sinistra come Lula. Ora, invece, lo accusano di aver concentrato tutti gli sforzi del suo governo sulla questione sociale, che pure ha prodotto significativi risultati, come testimonia il debito pubblico passato dal 60% del Pil al 51,8%, ma di aver chiuso un occhio, o forse tutti e due, sull’ambiente. Più realisticamente, forse, questo è il prezzo che ha dovuto pagare. L’imbarazzo è notevole come può testimoniare Marina Silva, esponente di spicco dei verdi brasiliani, divenuta con Lula ministro dell’Ambiente. “Il governo e in particolare il mio ministero hanno cercato di fare la loro parte, ma non è stato sufficiente per frenare il disboscamento”, ha laconicamente ammesso il mese scorso Marina Silva presentando “le cifre molto preoccupanti di questo scempio”: altri 26.130 chilometri quadrati cancellati tra l’agosto 2003 e quello dell’anno successivo. Secondo l’Inpe, l’istituto per le ricerche spaziali brasiliano che sorveglia via satellite l’andamento della foresta, la devastazione dell’Amazzonia interessa oggi un’area di 680mila chilometri quadrati, più grande di Francia e Portogallo insieme, e in alcuni Stati, Mato Grosso e Rondonia in particolare, l’aumento del taglio, da un anno all’altro, ha superato il 20%. Come i grandi ghiacciai anche il polmone verde del mondo si sta ritirando incidendo sulle variazioni climatiche. Ma l’imputato numero uno di questo scempio sistematico non è Lula, bensì il suo vecchio amico e grande elettore Blairo Maggi, il re della soia, pronipote di contadini bresciani emigrati in Brasile alla fine dell’800. Le polemiche sono destinate a farsi ancora più roventi dopo uno studio della Banca mondiale secondo cui l’International Finance Corporation (Ifc) non avrebbe dovuto concedere un prestito di 30 milioni di dollari al gruppo di Maggi classificando l’intervento a favore del Signore della soia a «moderato rischio ambientale”. “E’ il re del disboscamento, ma la corte di Brasilia ha una responsabilità immensa in quello che sta accadendo”, ha dichiarato Paulo Adario di Greenpeace, ma ancora più esplicito è stato il Verde Fernando Gabeira che si è dimesso dall’esecutivo per protesta: “Il governo ha truccato i dati per mascherare la devastazione”. Blairo Maggi, figlio di Andrea Maggi, è l’imprenditore rampante che secondo alcuni punterebbe alla presidenza del Brasile entro il 2010: da tre anni è governatore del Mato Grosso, stato dove sono concentate anche tutte le sue attività di sfruttamento intensivo e di commercializzazione della soia utilizzata come mangine animale. Alla faccia del conflitto di interessi… Dopo mucca pazza e l’esplosione dell’economia in Cina (con il conseguente cambiamento nel regime alimentare dei cinesi e una notevole richiesta di carne), il mercato della soia ha conosciuto un boom esponenziale. E il Brasile è balzato al primo posto nella produzione mondiale. Il gruppo di Maggi, 300mila tonnellate di soia raccolte nell’ultimo anno (ma tre volte tanto quelle commercializzate), sta estendendo la propria attività sempre più a Nord, oltre il Mato Grosso. Nel ’97 ha inaugurato la sofisticatissima idrovia Madeira-Amazonas che permette di imbarcare la soia dal centro del Brasile e non più nei porti del Sud, con un risparmio premiato dal mercato e ora si è offerto di asfaltare i 2000 chilometri della Cuiabà-Santarem. Ma suo padre, André (Andrea), lucido visionario che si fa vanto di essersi sempre alzato alle 4 del mattino per lavorare e di aver preso le prime ferie a 70 anni, per implementare il business della soia arrivò a edificare perfino una città, Sapezal, investendovi 5 milioni di dollari. Ne fu anche il primo sindaco e riuniva (gratuitamente) il consiglio comunale dalle 6 alle 7 del mattino. Poi, naturalmente, tutti a lavorare nei campi

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