Centri storici svuotati e politiche sbagliate

di Lorenzo Sani
L’Italia è un paese immobile dal punto di vista anagrafico, ma sempre più immobiliare. Secondo il Wwf, ogni anno dai 50mila ai 100mila ettari vengono sottratti al patrimonio agricolo e boschivo per essere ricoperti di cemento e di asfalto. I centri storici si spopolano, le campagne vengono divorate dai cementificatori e le attività commerciali, nel contesto di una situazione congiunturale che non è certamente delle più favorevoli, si trovano nell’occhio del ciclone. E’ dura per tutti, intendiamoci. Ma la velocità di questo corrosivo cambiamento lascia sul campo sempre più vittime. Il cuore delle nostre città che il mondo intero ci invidia è in fibrillazione permanente. In questa situazione critica, dal punto di vista economico, urbanistico, ambientale, artistico sembrano mancare linee di riferimento e molto è lasciato alle singole iniziative, talvolta fin troppo estemporanee. Giuseppe Giliberti, segretario generale di Italia Nostra, punta per esempio il dito contro uno dei cosiddetti nuovi trend che stanno prendendo piede: gli interventi degli architetti, più o meno blasonati, più o meno stranieri, nei nostri centri storici. “Il centro storico diventa il terreno su cui dare valore aggiunto all’opera dell’architetto, ma non viene tutelato o restaurato: diventa lo sfondo, il supporto che dà lustro all’architetto. La conseguenza è il declassamento del centro storico a materia bruta su cui intervenire. Se davvero questi interventi hanno un valore in sé, si possono fare anche fuori dai centri storici, che oggi sono sempre più simili a scene teatrali, a quinte dietro le quali non c’è niente”. Questa tendenza, secondo Giliberti, “non crea benessere diffuso ma diventa un vantaggio per pochi: i prezzi vanno alle stelle, la possibilità di investire è limitata ai grandi gruppi. I centri storici stanno diventando la loro terra di conquista e il piccolo operatore viene spazzato via”. Secondo Francesco Ragaini, di Confesercenti, “Lo spopolamento dei centri storici cambia caso mai, in maniera forte, l’offerta commerciale. Fino a qualche tempo fa, potremmo anche dire che era stato trovato un equilibrio post-Bersani: centri commerciali, grandi superfici di vendita per certi tipi di consumo, negozi specializzati per altri tipi di consumo, dettaglio dedicato più al turista, precise zone di commercio di alta qualità. Oggi è tutto più in subbuglio: da alcuni anni i negozi aprono e chiudono a causa della crisi economica e più in generale dei consumi”. In questa situazione magmatica e disomogenea si evidenziano realtà che hanno del paradossale: in Lombardia, se guardiamo all’indice di densità degli ipermercati, Mantova supera Milano. La media lombarda di metri quadrati di iper per abitante è 275, quella della città di Virgilio arriva a 309. Come uscire, allora, dal collasso economico dei centri storici? “Non esiste una ricetta particolare, caso mai bisogna guardare ciò che funziona negli altri Paesi” spiega Ivano Ruscelli, direttore di Iscom Group. “Il tema non ha solo importanza economica, o immobiliare ma è proprio di identità. Quindi è rilevante per i politici, per i commercianti, per i cittadini. C’è sicuramente bisogno di una visione più condivisa, che consenta di sommare gli interventi del pubblico e del privato. Quindi migliorare l’efficienza dei servizi, realizzare le strutture e renderle effettivamente fruibili. Come si fa ad avvicinare un parcheggio? Si investe sul percorso. Il centro storico, poi, non va visto come la riserva indiana dei piccoli commercianti, a volte le medie strutture aiutano a recuperare attrattività. La convivenza tra grande distribuzione e piccoli commercianti è necessaria”.

Il centro deve vivere

Coerenza e condivisione delle strategie, secondo il direttore di Iscom Group, Ivano Ruscelli sono condizioni di partenza degli interventi di marketing urbano. Ma occorre anche fantasia e la capacità di invertire una certa tendenza al decentramento che ha preso sempre più piede. Non solo. Per evitare che i centri storici perdano attrattiva “bisogna salvaguardare il commercio e l’artigianato: per il tipo di attività che svolgono, banche e assicurazioni possono tranquillamente svilupparsi nel corpo dell’edificio, verticalmente, e non orizzontalmente fagocitando tutte le vetrine sulla strada come succede oggi. Per questo è importante individuare norme che tutelino le attività che vivono come vetrina”. Ma il centro delle nostre città deve continuare a vivere, non solo dal punto di vista commerciale, perché “se si decentrano funzioni importanti come tribunali e camere di commercio, snaturiamo il centro come fulcro della vita cittadina. D’accordo: qualcosa bisogna portare fuori per evitare il congestionamento, ma bisogna saper cogliere il livello di soglia”. Secondo Ruscelli, operare in sinergia è fondamentale per ottimizzare risorse e interventi. “La politica molte volte non riesce a guardare alla questione con una visione d’insieme: se il problema è dei commercianti, lo tratta l’assessore al commercio e secondo me è sbagliato, perché la soluzione, caso mai, è nell’organicità della politica e nell’autorevolezza degli interlocutori. Io mi sono trovato bene nelle città in cui l’interlocutore era il sindaco, conseguentemente il tentativo di trovare una coerenza ha investito i vari assessorati. Se invece diventa un problema tecnico ci si illude di avere un’intesa, ma si perde solo del tempo senza aggredire la sostanza del problema”.

Che fanno all’estero?

All’estero, soprattutto in Francia, Belgio e Regno Unito esiste il Town center manager, una figura di riferimento e di coordinamento delle politiche e delle strategie. “Facendo un paragone, nei centri commerciali esiste un progetto, un investitore, un regolamento di condominio. In un centro storico, dove ci sono invece proprietà separate, funzioni pubbliche e private, diventa fondamentale coinvolgere la più vasta pluralità di soggetti possibile. Il Town center management è la sintesi di questa operazione di condivisione attorno a un’idea. Ogni città dovrebbe sviluppare un discorso del genere, perché non esiste una ricetta uguale per tutti”. Un passo importante per reperire i fondi indispensabili al decollo di ogni progetto è stato fatto in Puglia dove Iscom ha avuto un ruolo fondamentale nella nuova legge regionale sul commercio. “Nella realizzazione del piano delle grandi strutture - spiega Ruscelli - abbiamo inserito un meccanismo normativo che consente di acquisire risorse destinate alla valorizzazione del centro storico attraverso le nuove aperture o l’ampliamento di strutture commerciali. Nella sostanza i centri commerciali vengono messi a bando, ma tra i criteri di priorità ci sono anche gli impegni assunti in concreto per mitigare l’impatto economico sul centro urbano”.

Dati disarmanti

Dagli anni settanta ai nostri giorni i centri storici delle nostre città hanno perso circa il 70% della popolazione. Secondo il censimento che l’Istat ha elaborato nel 2004 sono oltre un milione e mezzo le unità abitative che restano vuote nel cuore delle città italiane. Un patrimonio che il mondo ci invidia, che può contare su almeno 900 centri storici di assoluta rilevanza e bellezza rischia di diventare una bella scatola vuota. Non mancano le proposte, gli interventi positivi e i modelli da seguire, che colpiscono anche quel degrado che diventa una condizione inevitabile a corollario dell’abbandono. Perugia, col successo di Eurochocolate (nel grafico a destra, foto Crocchioni), dimostra che è possibile trovare la strada dell’equilibrio e della valorizzazione, degli interventi che mettono insieme forze pubbliche e private se ci sono coerenza e uniformità di venute attorno a un progetto che sia in grado non solo di soddisfare i bisogni del mercato di riferimento, dunque dei cittadini e dei turisti, ma anche di stupire e affascinare. Le amministrazioni comunali, per centrare l’obiettivo, devono garantire una specifica volontà politica e una forte fantasia, passando da una cultura degli strumenti, appunto, a una cultura dei progetti. Il rilancio dei centri storici non va affrontato solo con una strumentazione puramente settoriale, ma con azioni coordinate
I prezzi proibitivi degli alloggi spingono gli abitanti in periferia, dove sorgono dal nulla quartieri e servizi. Il cemento divora sempre più il verde e il variegato tessuto connettivo della convivenza sociale, che ha formato borghi e città nei secoli, si sfalda cedendo il posto a villette e palazzoni collegate da superstrade e centri commerciali. L’emorragia della popolazione dai centri storici (la media è il 70% in meno) e delle attività commerciali è allarmante, come hanno sottolineato in un convegno svoltosi a Roma Vittorio Emiliani, presidente del Comitato per la bellezza, e Paolo Berdini, presidente dell’associazione Polis. “Nonostante la popolazione italiana cresca ormai pochissimo e nonostante lo stock di abitazioni sia enormemente aumentato con la costruzione di oltre 120 milioni di vani e gli alloggi vuoti o precariamente utilizzati siano centinaia di migliaia - ha sottolineato Emiliani - le città edificate fino agli anni 20-30 del Novecento sono sempre meno abitate in modo stabile”. A Urbino, città cara ai ricordi d’infanzia del professore, “Si è creato un circolo vizioso legato all’aumento degli iscritti all’università locale: il calo dei residenti dentro le mura è uno dei più drammatici, pari all’86% rispetto al 1951, con la punta del 95% nel quartiere del duomo”. Ma gli esempi sono molteplici. Non c’è solo un problema di negozi o di mercati storici, che la Regione Toscana valorizza con iniziative specifiche, considerandoli la punta dell’iceberg di un fenomeno di ben più vasta portata. “Sono un patrimonio che oggi appare anche nella nostra regione sempre più a rischio”, sottolinea l’assessore regionale al commercio Anna Rita Bramerini. “Attraverso la valorizzazione del commercio storico, che ha un numero importante di addetti e di imprese, siamo convinti si arrivi alla definizione di uno strumento importante per la diffusione sul nostro territorio delle produzioni di qualità. Oltre che un elemento qualificante per la nostra rete distributiva tali attività sono anche un elemento di forte caratterizzazione della cultura toscana, accattivante per i flussi turistici”. Negli ultimi vent’anni il centro storico di Firenze ha perso circa 100 mila abitanti. Le ripercussioni sulle attività commerciali sono estremamente preoccupanti. La Toscana è stata la prima regione a dotarsi di una legge di governo del territorio che racchiude diverse normative: attraverso i singoli piani strutturali i comuni possono compiere scelte e, per la tutela e la valorizzazione dei centri storici, possono impedire per esempio che le superfici delle attività legate al commercio superino i 400 metri quadrati. Ma secondo Bramerini il governo dovrà fare la sua parte “Sulle rendite immobiliari. E’ indispensabile un intervento a livello nazionale, altrimenti le imprese si troveranno sempre più a rischio di essere espulse dal mercato»”

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