L’Unep: l’impronta ecologica dell’uomo è eccessiva

Parla chiaro l’Unep. «La popolazione umana consuma una quantà di risorse che eccede largamente quella disponibile in maniera sostenibile: la nostra “impronta ecologica” è già oggi pari a 21.9 ettari a testa mentre la capacità biologica disponibile è solo di 15.7 ettari». Intacchiamo cioè il “capitale”, quello che dovremmo consegnare alle future generazioni. A dirlo è il “Global environmental outlook” pubblicato a vent’anni dallo storico Rapporto Bruntland dall’agenzia per l’ambiente delle Nazioni Unite. «La sistematica distruzione delle risorse naturali della Terra — ha commentato il direttore esecutivo dell’Unep, Achim Steiner — ha raggiunto un punto nel quale è messa a rischio la sostenibilità economica dei sistemi umani e nella quale il conto che metteremo nelle mani dei nostri figli rischia di dimostrarsi impossibile da pagare».
Il rapporto, preparato da 390 esperti e sottoposto alla revisione di altri mille, indica come negli ultimi vent’anni, pur se progressi si sono evidenziati in molti campi, tutti gli indici di salute dell’ambiente, dalla disponibilità d’acqua alla quantità di gas serra in atmosfera, sono peggiorati. «Questo documento non vuole essere la presentazione di uno scenario pessimista — ha sottolineato Achim Steiner — ma una urgente chiamata ai governi ad agire immediatamente».
L’Unep punta i riflettori su tre “punti di crisi” — cambiamento climatico, aumento delle specie in via di estinzione e crescita della popolazione — ma a questi aggiunge subito dopo la riduzione degli stock di risorse ittiche (la capacità di pesca eccede del 250% la capacità di pesca sostenibile), la perdita di suolo fertile a casa del degrado ambientale (lo sfruttamento agricolo del suolo è passato da 1,8 tonnellate prodotte per ettaro a 2,5), l’eccessiva pressione sulle risorse idriche (la disponibilità d’acqua è passata da 1700 metri cubi l’anno a persona, a 907). «Tutto questo — si osserva — crea il rischio che il danno ambientale possa passare il punto di non ritorno». Un esempio eloquente è dato dai cambiameti climatici. L’Unep fa quattro scenari da qui al 2050. Nella più ottimistica delle ipotesi la quantità di Co2 in atmosfera crescerà fino ai 475 ppm (oggi sono 380 ppm) e questo determinerà un aumento della temperatura di 1.7 gradi rispetto all’era preindustriale. Secondo gli altri tre scenari andrà peggio (tra 2 e 2.2 gradi) e si supererà quella soglia di 2 gradi indicata dall’Unione Europea, sulla base degli studi degli scienziati dell’Ipcc, da non superare per non avere conseguenze negative rilevanti sui sistemi umani e naturali. Per rimanere sotto i due gradi occorrerà taglia del 50% le emissioni di gas serra a livello globale e del 6-80% nei paesi sviluppati. E chiarissimo è anche l’impatto sulla biodiversità. La velocità con cui le specie animali si estinguono è 100 volte piu’ alta di vent’anni fa, e ormai sono a rischio il 30% degli anfibi, il 23% dei mammiferi e il 12% degli uccelli. Negli oceani le risorse ittiche esaurite sono passate dal 15 al 30% del totale, e le popolazioni considerate sovrasfruttate sono raddoppiate, e ora sono il 40%. E’ poi evidente il peso della popolazione (che salirà a 8 miliardi nel 2025) e ancor più del modello di sviluppo che porta tutti gli abitanti del pianeta a desiderare una vita come quella degli abitanti dei paesi sviluppati. Irrealizzabile a meno che non si facciano scelte molto decise a favore della sostenibilità.
E in questa direzione va il ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio, che rilancia: «Il tempo delle incertezze è terminato. Bisogna agire con coraggio e bisogna farlo subito. È necessario che tutti gli stati assumano impegni vincolanti per ridurre le emissioni di gas serra e che si avvii una vera e propria riconversione dell’economia mondiale che abbia come motore le energie pulite e rinnovabili, l’efficienza ed il risparmio energetico ed una rinnovata tutela della biodiversità a livello mondiale».

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