IPCC: stabilizzare ci costerà lo 0.12% del Pil mondiale all’anno

Il rapporto del rapporto del terzo gruppo di lavoro dell’IPCC, approvato ieri a Bangkok (che pubblichiamo integralmente nei Link qui a fianco), lo dice chiaramente: far fronte con successo ai cambiamenti climatici non è una missione impossibile. La sfida può essere vinta. E con costi accettabili. Precisamente con una riduzione del PIL mondiale pari allo 0,12% all’anno. Al 2030 questo significa una riduzione del pil mondiale del 3% e al 2050 del 5.5%. Il tutto per centrare un obiettivo abbastanza ambizioso: contenere la concentrazione di gas serra tra 445 e 490 ppm (oggi siamo a 380) e garantendoci un riscaldamento aggiuntivo rispetto all’epoca preindustriale tra i 2 e i 2.4 gradi. Riscaldamento che gli scienziati ritengono significativo ma ancora appena appena accettabile.
Per riuscirci dovremmo raggiungere il picco di emissioni entro il 2015 e poi iniziare la discesa fino a toccare nel 2050 un taglio tra il 50 e l’85% rispetto al 2000. Se ci accontentassimo di stabilizzare a 490-535, che ci garantirebbe un riscaldamento tra i 2.4 e i 2.8 gradi, avremmo cinque anni di tempo in più per raggiungere il picco e i tagli necessari sarebbero tra il 30 e il 60%. Mentre se optassimo per una livello di 535-590, pari ad un riscaldamento stimato di 2.8-3.2 gradi, i tagli potrebbero essere tra il 30% e zero, o addirittura potremmo farcela con un un aumento del 5% (rispetto ad un tendenziale grossomodo superiore al 50-60%). Ma anche in quest’ultimo caso dovremmo pagare un prezzo. Al 2050 tra qualche frazione punto percentuale e qualcosa di meno del 4% del Pil mondiale, stima mediana l’1,3%.
L’Ipcc ci ha dato il quadro. Ora si tratta di scegliere il futuro che vogliamo.

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2 Commenti a “IPCC: stabilizzare ci costerà lo 0.12% del Pil mondiale all’anno”

  1. Sergio Mannucci scrive:

    2.48 - IL FUTURO ENERGETICO INCOMBE

    Il documento del terzo gruppo di lavoro dell’Ipcc c’informa delle prospettive future riguardo alle immissioni di CO2 in atmosfera: da quì al 2030-2050, posti come limite del raggiungimento quel fatidico limite di 550 ppm in atmosfera, risulta di un costo equivalente a 20 trilioni di dollari da investire nel settore energetico sia per investimenti tendenti ad abbassare le emissioni, sia nelle energie alternative e nel risparmio energetico.

    Arriveremo a quella data con case costate più del doppio per adattarle al risparmio energetico secondo le direttive europee già in atto; con i tetti pieni di pannelli solari; con coste, pianure e monti pieni generatori eolici, con centrali termiche che non serviranno più perché avremo raggiunto il limite invalicabile dei 550 ppm; con nuovo tipo di economia tutto rivolto alla produzione di apparecchiature per il risparmio energetico; con costo dell’energia a valori impensabili date le cifre da investire.
    Ma tutto questo non servirà a niente poiché se agli attuali 380 ppm di CO2 ci troviamo nelle condizioni di disagio climatico già in atto, c’è da domandarsi cosa succederà nel 2030-2050 con 550ppm.

    Questo per quanto riguarda l’inquinamento; ma il fatto più grave è l’effetto biologico già grave alle condizioni attuali secondo statistiche ufficiali:

    “Secondo un rapporto della Organizzazione mondiale della sanità
    - nel 2020 i cambiamenti climatici provocherebbero non meno di 150 mila decessi l’anno in tutto il mondo;
    - dal 1995 al 2004 l’Europa ha subito 30 grosse alluvioni colpendo
    2 milioni di persone con mille morti;
    - nel 2003 si è avuta la più forte ondata di calore che ha provocato 35 mila morti; da qui al 2020 si prevede un aumento delle morti per onde di calore di oltre il 400%.”

    Ed ancora:
    “Secondo un rapporto della Commissione Europea risultano ogni anno circa 310.000 morti in Europa a causa dell’inquinamento atmosferico, dei quali 65.000 in Germania, 39.000 in Italia: più del 90% delle morti sono causate dalle polveri sottili emesse dagli impianti combustione, auto, industrie, riscaldamento.”

    Restando a Firenze: “secondo le stime dell’Istituto regionale per la programmazione economica della Toscana, risultano ogni anno 350 persone che muoiono per l’effetto dell’inquinamento di cui, 196 per problemi cardiocircolatori 132 per malattie dell’apparato respiratorio”.

    In merito ai deposito di petrolio intorno alle grandi città la vicinanza degli impianti alle abitazioni ha un importante effetto relativo alle patologie per effetto degli inquinanti che, anche in condizione di normale operatività, vengono rilasciati. A Priolo, una ricerca effettuata dall’osservatorio epidemiologico della regione Sicilia, mostra che nell’area di Augusta-Priolo si è registrato un aumento di patologie tumorali sia negli uomini che nelle donne, con dati preoccupanti specie, tra gli uomini, per il tumore del colon retto, polmone e pleura.
    Tra le patologie non tumorali si segnala un aumento di mortalità per quelle espiratorie acute.
    Anche a Gela si è registrato un aumento di patologie tumorali sia negli uomini che nelle donne ed in particolare dei tumori dello stomaco, del colon-retto, laringe, bronchi, polmoni e vescica.
    Gli effetti della pessima gestione delle aree industriali è stato, del resto, confermato dallo studio effettuato nel 2002 dall’ OMS per conto del ministero dell’ambiente. Sulle 15 aree ad alto rischio di crisi ambientale è stato rilevato un eccesso di 800 morti l’anno rispetto alle medie attese, pari al 2.5% con picchi a Brindisi (+55% dei tumori per i maschi), a Crotone (+46%), a Taranto (+22%), a Massa-Carrara (+21%), Augusta-Priolo e Napoli (+15%).

    Tutto questo senza tener conto dei disastri ecologici delle petroliere, dei disastri nelle miniere, di fronte alle vittime accertate a Chernobyl:
    durante l’esplosione del nocciolo morirono 2 lavoratori della centrale travolti dai detriti. Altre 134 persone (pompieri ed esercito, circa 1000) che intervennero per spegnere l’incendio furono intossicate dalle radiazioni (non disponevano di protezioni).
    Di queste 28 morirono nel 1986 e 19 nei vent’anni successivi.
    In totale un rapporto della FAO, poi confermato dal Chernobyl Forum, stima che vi siano state 58 vittime del disastro dal 1986 al 2006.
    Il Chernobyl Forum è stato un incontro istituzionale promosso dall’IAEA che ha avuto luogo dal 3 al 5 febbraio 2003, a Vienna. Vi hanno partecipato, oltre all’IAEA, altre organizzazioni dell’ONU (FAO, UN-OCHA, UNDP, UNEP, UNSCEAR, OMS), la Banca Mondiale e le autorità della Russia, della Bielorussia e dell’Ucraina. Un secondo incontro si è tenuto il 10 e 11 marzo 2004 e un terzo dal 18 al 20 aprile 2005.
    Lo scopo degli incontri è stato quello di mettere in chiaro in maniera scientifica gli effetti sulla salute e sull’ambiente del disastro di Chernobyl (26-4-1986).

    A parte queste prospettive, a quelle date saremo costretti a ricorrere al nucleare, alla fissione se non è attuabile la fusione, ma ci vorranno altri 50 anni per l’attuazione del nuovo programma, e saranno anni difficili per le generazioni future: non sarebbe il caso di anticipare per non trovarsi poi scoperti tra vent’anni ed essere costretti a dire come ha detto D’Alema: “nucleare? Bisognava pensarci vent’anni fa”, cioè all’epoca del famoso referendum della cui traccia troviamo nelle bollette elettriche che ci addebitano il costo della demolizione delle centrali nucleari.

    Per fortuna, come sempre succede in Italia, detto programma non è stato completamente attuato per cui abbiamo centrali ex-nucleari (Caorso e Trino Vercellese) che potrebbero essere rimesse in funzione, secondo esperti del settore, in meno di due anni ed il cui riavvio costerebbe molto meno dei 7500 miliardi di lire per la loro distruzione e potrebbero funzionare per circa trent’anni!
    Firenze: 6-5-2007 Sermann

  2. mario scrive:

    ciao

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