Ecco il “sommario per i legislatori” dell’IPCC. E dentro c’è una speranza.

Il “sommario per i legislatori” _ la cui bozza anticipiamo a href=”http://qn.quotidiano.net/file_generali/pdf/SYR_SPM_FINAL_31Aug[1].pdf” _ è il documento di sintesi del quarto atteso rapporto dell’Ipcc, l’organismo scientifico al quale le Nazioni Unite hanno affidato il compito di studiare il cambiamento climatico e che è stato insignito nell’ultimo premio Nobel per la pace. Il “sommario” sarà approvato a Valencia questa settimana dall’assemblea dell’Ipcc e sarà la base del delicato negoziato sul clima che si terrà a Bali agli inizi di dicembre. E le conclusioni, che anticipiamo, sono realistiche ma forti.
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I soliti critici nostrani parleranno di catastrofismo, il che con la presidenza Ipcc dell’indiani Rajendra Pachauri _ climaticamente e scientificamente un moderato, e infatti è stato scelto per questo su imput della delegazione americana _ è pura fantasia. La realtà è che l’Ipcc usa grande prudenza e chiarezza. Ribadisce quanto è ormai assodato aumentandone il grado di sicurezza rispetto al Terzo Rapporto. «Il riscaldamento del sistema climatico — scrive l’Ipcc — è indubbio ed è oggi reso evidente dagli osservati aumenti della temperatura dell’atmosfera e degli oceani, dagli esteri scioglimenti delle nevi e dei ghiacci, dall’innalzamento del livello dei mari». Non solo. «La maggior parte dell’aumento della temperatura media osservato dalla metà dello scorso secolo ad oggi _ aggiunge - è molto probabilmente dovuto all’osservato aumento delle concentrazioni di gas serra», frutto delle emissioni umane, «cresciute dal 1970 al 2004 del 70%».

Ma sottoline anche che, attenzione, la partita non è persa in partenza. «Si può attivare un vasto potenziale di riduzione delle emissioni che consentirà di stabilizzare le concentrazioni di Co2» ad un livello tale da contenere forse entro i 2 gradi il riscaldamento climatico entro la fine del secolo. Al 2030 il potenziale di riduzione annuale è tra 15.2 e 30.6 gigatonnellate (miliardi di tonnellate) di Co2 equivalente. Di queste, 6 milioni di tonnellate di potrebbero ridurre senza costi o con risparmi netti. Per dare un ordine di grandezza, nel 2004 le emissioni globali di gas serra ammontavano a 49 gigatonnellate equivalenti: un taglio del 60% delle emissioni è quindi molto impegnativo ma possibile.

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Gli scenari che si delineano, spiega l’Ipcc, dipenderanno «dalle scelte che verrano fatte nei prossimi 2-3 decenni». L’aumento della temperatura a fine secolo, a seconda dei vari scenari fatti dall’Ipcc, oscillerà tra gli 1.1 e i 6.4 gradi, con stime mediane tra 1.8 e 4 gradi rispetto alle medie della fine del scorso secolo (a loro volta già 0.75 gradi più alte rispetto alle temperature di fine ’800). E’ molto e non sono esclusi scenari peggiori. «Le attività umane — chiarisce l’Ipcc — possono portare a cambiamenti improvvisi o irreversibili». Si fa il caso del «molto probabile ralletamento» della Corrente del Golfo (ma «una sua interruzione completa entro il 2100 è molto improbabile») e di altri sconvolgimenti del ciclo del carbonio — ad esempio la riduzione della capacità degli ecosistemi terrestri e dei mari di assorbire Co2 o lo scioglimento dei terreni gelati della Siberia e del Canada — che possono aggiungere entro il 2100 da 20 a 220 ppm di anidride carbonica. Come dire tra i 5 e il 58% della concentrazione oggi in atmosfera. E’ evidente che occorre intervenire, anche perchè, scrive l’Ipcc, «l’impatto dei cambiamenti climatici imporrà dei costi annuali che aumenteranno mano a mano che le temperature cresceranno. Una stima dei “costi sociali” del carbonio mostrava già nel 2005 una media di 12 dollari per tonnellata di Co2 emessa».
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E le possibilità di intervento per ridurre le emissioni ci sono tutte. In primis nel settore dell’edilizia (da 5.3 a 6.7 gigatonnellate al 2030) seguito da agricoltura (da 2.3 a 6.5), l’industria da 2.5 a 5.5), la produzione di energia (da 2.4 a 4.7), le foreste (da 1.3 a 4.2), i trasporti (da 1.6 a 2.5 gigatonnellate). Di questo potenziale tra 5 e 7 gigatonnellate sarebbero eliminabili a costo zero o risparmiando e tra 9 e 10 con un costo inferiore ai 20 dollari per tonnellate di Co2 risparmiata. Naturalmente servirebbe un prezzo del carbonio, «un segnale che produrrebbe risultati significativi nella riduzione delle emissioni in tutti e settori e potrebbe portare a una stabilizzazione a quota 550 ppm» rispetto alle attuali 360. Ma il fatto che sia possibile, non significa anche che sia automatimente probabile. Anzi.

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