Il giornalista rapito e l’Italia piagnona

Caro De Carlo,
sappia che mi sono rotto. Glielo dico brutalmente.
…mi sono rotto di vedere che vi mobilitate solo quando a essere rapito è un giornalista. Mi sono rotto di assistere a marce, manifestazioni e manifesti, raccolte di firme, conferenze di esponenti delle comunità islamiche che ci vogliono far credere che l’Islam non c’entra nulla, ma proprio nulla con gli episodi di violenza, essendo l’Islam una religione di pace. Ma chi ci crede più?
…e poi che fine hanno fatto gli altri italiani rapiti? Quelli in Nigeria per esempio? Essere tecnici dell’Eni significa essere meno importanti dei giornalisti? Perché non ne parlate mai?
…Insomma, non se ne può più. Se non vuole pubblicarmi, va bene lo stesso, almeno mi sono sfogato.
Antonio
*** *** ***
No. La pubblico invece, seppur tagliando. E per il semplice motivo che sono d’accordo. I terroristi sanno bene che rapire un giornalista, soprattutto se italiano e soprattutto se di sinistra, è un ottimo affare. Per lui si mobiliterà l’establishment buonista, pacifista e disimpegnato che ha tanti rappresentanti nell’attuale governo. Per lui si terranno le manifestazioni alle quali lei si riferisce. Per lui, solo per lui e non anche per i tecnici italiani rapiti in Nigeria si lanceranno valanghe di appelli, scorreranno fiumi di lacrime sui giornali e alla televisione.
Ma non saranno gli appelli e le lacrime a intenerire i talebani come, a suo tempo, non intenerirono i terroristi di Al Qaeda in Iraq. Saranno solo i milioni di dollari del riscatto che il nostro governo ancora una volta, a dispetto delle smentite ufficiali, si appresta a pagare. E a finanziare così – ma nessuno ci pensa – altre bombe, altre stragi e altri rapimenti.

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