Perchè tanti terroristi sono sauditi

Dott. De Carlo,
ha visto quel che ha scritto il New York Times, dico il New York Times cioè a dire uno dei giornali più ferocemente contro Bush?

Se le è sfuggito, glielo dico io: ha scritto che ogni anno entrano in Iraq un migliaio di combattenti stranieri che essendo coloro che poi si fanno saltare nelle strade, nelle piazze, nei mercati, ai posti di blocco io definirei tout court terroristi. Di questi il 41 per cento sono sauditi. Gli altri provengono da diversi Paesi nordafricani, Libia in testa, e dalla vecchia e pavida Europa che ospita imam e mullah che alternano la loro predicazione anticristiana con il reclutamento di ‘’martiri'’ inviati a immolarsi in Iraq.

E allora mi chiedo e anzi le chiedo: che razza di alleati hanno gli Stati Uniti? L’Arabia Saudita non è forse l’alleato tradizionale degli americani in Medio Oriente?
Non ci sono forse accordi politici, strategici, economici tutti ruotanti attorno alla sicurezza delle forniture di petrolio?

Come si spiega un atteggiamento del genere?
Mi può illuminare?
Franco Merloni

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Ci proverò, caro Merloni.
L’Arabia Saudita è la patria delle contraddizioni arabe. E’ una monarchia di stampo feudale in un Paese che grazie al petrolio ha fatto un poderoso balzo nella modernità, mantenendo però strutture, tradizioni, costumi, mentalità antiche. La religione di Stato è ovviamente l’Islam di osservanza sunnita nella sua versione integralista wahabita.

Ebbene nell’appartenenza sunnita sta una prima spiegazione. I wahabiti sono nemici acerrimi degli sciiti che oggi - dopo i trent’anni della dittatura di Saddam Hussein - hanno conquistato il potere a Bagdad. Dunque non sorprendano le simpatie, gli appoggi, i finanziamenti che - aggirando i controlli governativi - finiscono ai sunniti iracheni.

Una seconda spiegazione sta nei dati resi noti di recente dalla Cia. Quei combattenti stranieri, che lei a ragione definisce terroristi, sono inquadrati in Al Qaeda. La cui strategia è anzi era, considerando che ora appare sgominata o almeno molto indebolita, far saltare in aria alternativamente sunniti e sciiti per rinfocolare le rivalità religiose e tribali e mantenere instabile la situazione in Iraq.

Questo disegno sembra essere stato vanificato. Il generale americano Petraeus sembra avere fatto il miracolo. E’ riuscito a staccare i sunniti da Al Qaeda e grazie alla sua tattica, battezzata ‘’surge'’ e basata su un aumento delle forze disponibili, ha inferto colpi si spera mortali alle organizzazioni terroristiche. Sia chiara una cosa però: questa tattica non avrebbe avuto successo se non fosse stata preceduta e accompagnata dal ritrovato appoggio delle comunità sunnite stanche di tanto sangue.

Ma l’aspetto più incoraggiante riguarda proprio la monarchia saudita. Re Abdullah ha finalmente capito che Osama Bin Laden non è un profeta ma un portatore di morte, che il suo obiettivo è il rovesciamento del regime e che per sventare le sue trame è essenziale prosciugare le fonti di finanziamento.
Una tale politica si urta però con il radicalismo islamico interno. E questo è molto più difficile di riportare alla ragione.

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