Non è carità l’aumento salariale alla Fiat

Gentile Dottore,
Ha visto cosa ha fatto la Fiat? Senza alcuna richiesta sindacale, senza alcuna trattativa, senza scioperi ha aumentato il salario ai propri dipendenti. Ma ancora più interessante è la motivazione addotta dall’azienda. Le cose vanno bene, ha detto l’amministratore delegato Marchionne, abbiamo avuto profitti più alti del previsto, è giusto che ne goda anche chi col suo lavoro ha reso possibile il miglioramento.
Mi sembra un’iniziativa rivoluzionaria, anzi contro rivoluzionaria. Nel senso che apre prospettive nuove nel mondo del lavoro. Voglio dire che i dipendenti delle aziende private potrebbero anche rendersi conto che dei sindacati di categoria non hanno bisogno se hanno la possibilità di sostituire alla contrattazione nazionale, ormai anacronistica, la contrattazione aziendale. E se hanno la possibilità di istituire all’interno delle aziende organi rappresentativi che partecipino alla loro gestione o almeno che vengano consultati.
In questa maniera la partecipazione dei dipendenti renderebbe trasparente la gestione e consentirebbe di concordare aumenti salariali quando le cose vanno bene e sacrifici quando le cose vanno male (non possono andare sempre bene e mi sembra giusto che in tempi difficili i sacrifici ricadano anche sui lavoratori).
Non le sembra un buon suggerimento?
Angelo Brazzi

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No. O meglio il suo suggerimento mi sembra buono solo a metà. La partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese è un’idea vecchia. Fu tentata in Germania negli anni Settanta. Si chiamava mitbestimmung. Comportava la presenza nei consigli di amministrazione di anche una rappresentanza dei dipendenti con regolare diritto di voto. Non funzionò. Complicava e non snelliva la gestione. Ritardava e non accelerava le decisioni. Con danni per l’azienda, per la cui buona salute tutti ovviamente dicevano di agire.
Sono invece d’accordo con lei sul carattere innovativo dell’iniziativa della Fiat (imitata – nota bene – da qualche altra grande azienda del nord, come la Riello). Se i salari dei dipendenti fossero parametrati ai profitti, ecco che i burocrati del sindacalismo nostrano sarebbero sconfessati. Non ci sarebbe più bisogno di loro e delle loro fallimentari strategie. Prima fra tutte quella che ha condotto alla mortificazione del merito in nome dell’egualitarismo retributivo.
Per decenni i nostri sindacati hanno sostenuto l’appiattimento delle retribuzioni, la parità di trattamento per chi lavorava bene e per chi lavorava male, l’inamovibilità dei dipendenti pubblici, i baby pensionati. In sostanza invece di valorizzare, anche in termini salariali, il lavoro, si sono preoccupati di difendere l’ozio, di proteggere i fannulloni, di favorire chi il posto l’aveva già infischiandosene di chi nel mondo del lavoro cercava di entrare, cioè i giovani. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.
Di qui la forte opposizione dei sindacati alla decisione della Fiat. La Cgil l’ha definita carità. Stupidaggini. Le quali fortunatamente non sono condivise da tutti i sindacati. Una parte della Cisl per esempio non è d’accordo.Quella che si ribella all’egemonia della Cgil, che del sindacalismo ha fatto una professione politica, un mezzo ideologico e di potere, non di difesa degli interessi dei lavoratori.

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