Chi andrà alla Casa Bianca?
Sig. DeCarlo,
l’anno prossimo a novembre ci saranno le elezioni presidenziali negli Stati Uniti, al riguardo vorrei sapere come si comporterà l’amministrazione Bush in questo ultimo periodo in cui sarà in carica secondo la sua opinione ed anche per quanto può sapere da fonti vicine al Presidente ed al Partito Repubblicano.
E’ corretto affermare che non ci saranno cambiamenti nè in politica interna nè in politica estera ?
In secondo luogo, considerando tre candidati repubblicani alla presidenza quali McCain, Giuliani, Gingrich, a grandi linee come evolverebbe la situazione con ciascuno dei tre a capo del Paese?
La loro linea di condotta interna ed internazionale rispetto a Bush sarà simile o ci saranno cambiamenti più o meno consistenti?
Se dovessero vincere i Democratici invece come si modificherebbe la politica americana?
Grazie per l’attenzione,
Cordiali saluti,
Magni Marco.
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Caro Magni,
quel che in Italia è difficile far capire quando si parla di politica Usa è il fondamentale consenso dei due maggiori partiti sulla bontà del sistema che a turno si troveranno a governare. Democratici e repubblicani divergono non sui principi ma sull’applicazione di quei principi. Per esempio: in economica nessuno mette in discussione il primato della competition come motore di ricchezza, la convenienza di una bassa incidenza fiscale maturata dalla comune convinzione che il privato, meglio del pubblico, sappia come utilizzare i propri soldi, la fiducia nel mercato cioè in un liberismo che si contrappone al prevalente dirigismo di tanti Paesi europei, Italia in testa.
Su questi principi sono tutti d’accordo. La polemica, quando si tratta di profilarsi di fronte all’elettorato, si fa sulle modalità e non sull’opportunità dell’azione di governo, sulla competenza dei candidati e non su differenze ideologiche di cui peraltro sarebbe arduo tracciare i contorni. In altre parole: ognuno dei due partiti sostiene di poter fare meglio del rivale le stesse cose.
E ora la politica estera. Nell’opinione pubblica americana prevale il famoso motto: right or wrong, my country. Giusto o sbagliato, è il mio Paese. Cosa vuol dire? Vuol dire che ci si può dividere, come è avvenuto, sulla disgraziata avventura irachena. Ma le posso assicurare che anche se il prossimo presidente fosse un democratico, l’Iraq non finirà come il Vietnam con un disimpegno frettoloso e demoralizzante.
La sola differenza – presumo – riguarderà i tempi della irachizzazione, vale a dire come accelerare l’assunzione di responsabilità da parte del governo eletto di Bagdad, come metterlo in condizione di andare avanti con le proprie gambe. Solo a quel punto gli americani lasceranno le città irachene. Non per tornare a casa, bensì per riposizionarsi nel deserto a presidio della fragile democrazia. Almeno per un certo tempo.
Lei mi chiede previsioni sulla nomination repubblicana. Ebbene, penso che il favorito sia Giuliani. E ne sono contento, non perché sia un italo-americano (in America non è percepito come tale). Ma perché è l’eroe dell’11 Settembre, quando evitò il collasso di New York. E perché è un grande amministratore: nei suoi otto anni da sindaco ha trasformato New York dalla città più caotica, insicura, disastrata finanziariamente nella più ordinata, più sicura, più ricca.
Giuliani è un fenomeno. Non credo che i suoi concorrenti, da McCain a Romney, a Thompson (se si candiderà), saranno in grado di minacciarne la leadership.
In campo democratico invece Hillary Clinton, che appariva la chiara front runner sino a un paio di mesi fa, è in difficoltà. Dimezzato il vantaggio sugli altri concorrenti. I sondaggi la collocano ancora al primo posto, ma il mulatto Barak Obama è in forte rimonta. Staremo a vedere. Alle elezioni per la Casa Bianca manca ancora più di un anno. E un anno in politica è un’eternità.