Una nuova moschea ogni quattro giorni

Caro Dott. De Carlo,
ho letto domenica sul Corriere, giornale che spesso mi delude ma che ha fior di firme, un articolo del solito, lucidissimo e coraggiosissimo Magdi Allam. E ho così appreso che in Italia ci sono 735 moschee. Erano 351 sette anni fa. Il che vuol dire che da allora ne è stata costruita una ogni quattro giorni. Ho anche appreso con sorpresa e con rabbia che le amministrazioni comunali di sinistra sono le più generose nel fornire alle comunità islamiche terreni, stabili e finanziamenti. E allora mi chiedo: come è possibile essere così ciechi? Come è possibile non capire che quelle moschee diventeranno altrettanti centri di pianificazione delle ‘’guerre sante’’ contro noi ‘’infedeli’’?
Qui non è questione di rispetto per la religione e il culto di coloro che ci siamo tirati in casa. Nessuno di noi si sogna di proibire a un islamico di pregare il suo Allah. Qui è questione di rispetto delle nostre leggi che vietano di propagandare la violenza e tanto meno di praticarla.
Non vorrei passare per xenofobo. Ma quando vengo a conoscenza del contenuto delle prediche dei vari imam, dei sequestri di materiale esplosivo in alcune moschee, dei reclutamenti di kamikaze ansiosi di farsi saltare in aria in Iraq, mi vengono i brividi. Ci stiamo allevando in casa il nemico che ci farà fare la stessa fine.
Non le pare?
Giorgio Ansaloni, Carpi
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Sì. Mi pare. Alcune di quelle moschee – ho detto alcune, non tutte – non sono semplici luoghi di culto. Sono luoghi di indottrinamento contro la religione, le tradizioni, le abitudini del Paese che ospita gli immigrati musulmani. Sono luoghi in cui vengono predicati il primato della sharia, vale a dire della legge religiosa sulla legge civile. E per affermare questo primato bisogna passare attraverso il sistematico rigetto della way of life occidentale e, se necessario, attraverso la Jihad, la guerra santa.
Ma – sostengono i buonisti – la guerra santa è una metafora pacifica. Indica il proselitismo, la conversione dell’infedele o la moltiplicazione demografica dei musulmani (un imam una volta disse: non abbiamo bisogno della forza per imporre il primato dell’Islam, lo otterremo con i ventri delle nostre donne).
Può darsi. Ma la Jihad va vista anche nella sua accezione di lotta fisica. Coloro che si fanno saltare in aria nei mercati e nelle strade di Bagdad inneggiano alla Jihad. Che è appunto l’altra maniera di imporre il fondamentalismo a coloro che non vorrebbero tornare al Medioevo.
Noi il Medioevo lo abbiamo abbandonato da un pezzo. Dall’illuminismo in poi la nostra società civile vive separata dalla pregiudiziale religiosa. Non comprende e anzi respinge la sharia che invece sottopone la prima alla seconda.
Dovrebbe dunque essere nostro dovere, oltre che nostro diritto, impedire ogni predicazione contraria: Stato e chiesa debbono rimanere entità separate. La religione deve poter essere esercitata liberamente, ma a patto che le sue pratiche siano compatibili con le leggi di un laicismo al quale nessuno di noi intende rinunciare.
I musulmani sono disposti ad accettare questo principio? Se sì, benissimo, restino fra di noi. Se no, che tornino a casa loro. E quanto ai sindaci rossi così generosi nei loro confronti, in alcuni casi si tratta solo di ignoranza. Nella maggior parte dei casi di calcolo politico: sperano che quegli immigrati un giorno, ottenuta la cittadinanza, votino per loro. Illusi. Gli imam non vogliono l’integrazione. Vogliono l’autosegregazione come piattaforma di lotta per l’affermazione finale dell’Islam.

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