Il Mediterraneo uno delle due aree più sensibili ai cambiamenti climatici

di ALESSANDRO FARRUGGIA
I cambiamenti climatici? Nel nostro paese si sentono e si sentiranno di più che ai tropici o in altre parti del mondo. Le due regioni del pianeta che risponderanno in maniera più forte ai cambiamenti climatici globali sono infatti — e un pò è una sorpresa — il Mediterraneo e l’Europa orientale. Ad affermarlo è una ricerca dello scienziato italiano Filippo Giorgi (che lavora al centro di fisica di Trieste e fa parte del prestigioso IPCC) pubblicata nell’ultimo numero di “Geophisical research letter”.
«Dal punto di vista della vulnerabilità — scrive Giorgi — un’area sensibile è una regione nella quale gli impatti dei cambiamenti climatici sull’ambiente o sulle attività umane possono essere particolarmente pronunciati. E le due aree più sensibili a livello mondiale risultano essere il Mediterraneo e il Nord Est Europa (Russia europea-Ucraina- Bielorussia)». Seguono, con un tasso inferiore, il Centroamerica e, come previsto, le latitudini fredde dell’emisfero settentrionale. «Nel Mediterraneo — scrive Giorgi — assisteremo ad una larga riduzione della piovosità media, in particolare ad una riduzione della piovosità estiva, e ad un aumento della variabilità delle precipitazioni durante la stagione estiva».

Le previsioni per la seconda metà di questo secolo non devo far dimenticare che già oggi il Mediterraneo si è dimostrato un’area molto sensibile ai cambiamenti climatici. A fronte di un aumento medio della temperatura mondiale di 0.65° gradi nell’ultimo secolo (fonte, quarto rapporto IPCC), in Europa l’aumento della temperatura (fonte, Agenzia europea dell’Ambiente) è stato infatti di 0.95°. In Italia, secondo i dati dell’annuario Apat presentato nei giorni scorsi dal commissario straordinario Giancarlo Viglione, in soli 24 anni (1980-2004) l’aumento è stato di 1.58 gradi: il doppio della media mondiale secolare.

E questo inverno rischia di aggravere la situazione. Secondo una ricerca della Società metereologica italiana, nel nord Italia l’autunno 2006 è il più caldo dall’inizio delle misurazioni. E precisamente, il più caldo dal 1830 a Modena, dal 1877 a Cuneo, dal 1891 a Pontremoli con uno scarrtoi dalle medie che oscilla tra i 2.2 (Pontremoli) e i 3,2 gradi (Cuneo), con Modena a 2.6°.
A livello globale, secondo il rapporto preliminare 2006 dell’Organizzazione metereologica mondiale, l’anno che sta per finire sarà 0.42° sopra le medie 1961-1990 risultando globalmente il sesto più caldo mai misurato (il quarto nell’emisfero settentrionale e il settimo in quello meridionale). Anche l’Organizzazione metereologica modiale conferma l’eccezionale autunno, che in Europa ha visto temperature di 3 gradi sopra le medie (in Inghilterra, dove esistono serie di dati molto antiche, si è verificato che è stato il più caldo dal 1659).

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3 Commenti a “Il Mediterraneo uno delle due aree più sensibili ai cambiamenti climatici”

  1. gabriele martino scrive:

    Si sente sempre di quanti gradi le temperature medie sono aumentate e che abbiamo raggiunto un nuovo record di temperatura del tipo l’agosto più caldo della storia ecc… ma che significa, quali saranno le conseguenze di questo aumento di temperatura per noi esseri umani e per la natura?
    E poi, soprattutto, che possiamo fare ? Bastano le riduzioni di emissioni che abbiamo pianificato o servono ulteriori riduzioni? Ma come fare a farle dato che le emissioni in verità sono aumentate nonostante kyoto?

    sperando che riusceremo a invertire la tendenza, sono pessimista.

    gm

  2. Sergio Mannucci scrive:

    CLIMA IN DIVENIRE

    Negli anni 20-30 del secolo scorso passavamo le vacanze scolastiche in Casentino fino al rientro a scuola, che a quell’epoca avveniva ai primi di ottobre; ho un ricordo vivissimo della prima neve che compariva sul Pratomagno e nei monti del Casentino già nel mese di settembre; della fuga dei pecorai per il rientro in maremma e il trasferimento in stalla delle cosiddette bestie bianche che avevano passato l’estate all’alpeggio.
    Mi ricordo di una volta che, mentre nelle vigne in basso si vendemmiava ed in alto nevicava, di essere andato a fare la prima escursione sulla neve.
    Mi ricordo anche di un vecchio contadino che mi diceva:

    “Vedi la neve sull’Anciolina (il Pratomagno)? Conta quanti giorni mancano a Natale ed avrai i giorni di freddo che ci saranno nell’inverno che viene”

    Di anno in anno ho notato un progressivo ritardo a quella neve.

    Di anno in anno ho avuto anche la sgradita sorpresa, durante le vacanze invernali sulle Alpi, di vedervi ritardare l’arrivo della neve: avevamo l’abitudine di partire il giorno dopo Natale fino a dopo la Befana; nei primi anni (anni 40) trovavamo innevato; via via la neve cominciava ritardare tanto è vero che per trovare la neve certa negli ultimi anni dovevamo andare in Svizzera od Austria.

    Ho assistito ultimamente a visioni televisive in cui mostravano il crollo del fronte ghiacciato della Groenlandia ed alla frantumazione della banchisa polare: quest’ultimo mi è paso molto grave non solo per gli orsi ma per il fatto che la frantumazione deriva da un assottigliamento del ghiaccio ed il suo rapido scioglimento con riduzione della superficie ghiacciata.
    Il nostro tipo climatico è una interazione fra la sorgente fredda polare e sorgente calda tropico-equatoriale che sono i due motori che determinano i movimenti dell’aria a seconda delle stagioni.
    Fintanto che c’è stato ghiaccio da sciogliere, l’aumento termico ha avuto una progressione abbastanza lenta in correlazione all’incremento della CO2, ma con la riduzione della superficie fredda viene a ridursi lo scambio di calore e pertanto il motore freddo perde di potenza mentre il motore caldo viene alimentato, oltre che dell’effetto serra, anche dalla diminuzione dell’effetto refrigerante.
    Viene ad instaurasi un effetto perverso di velocizzazione del progresivo riscaldamento con modificazioni del clima come preconizzatola esperti delsettore: dilatazione della zona tropicale più verso Nord e restringimento della zona fredda. C’è da temere che da questo momento in poi questo fenomeno sia destinato ad avere un andamento esponenziale, soprattutto con le pecette che si tenta di mettere alla combustione fossile.
    Ma questo non coinvolge solo l’aria; si trasferisce anche sulle correnti marine dovuta alla differenza di densità dell’ acqua fredda dell’Oceano Artico on quella calda del Golfo del Messico che da luogo alla Corrente del Golfo; questa porta calore nel Nord Europa: l’aumento del volume di acqua fredda e leggera devia la Corrente del Golfo verso le coste Americane riscaldando la corrente fredda del Labrador; si ha notizia che a New York
    In questi giorni stanno fiorendo le piante.
    A mio parere si è superato il punto di non ritorno perché questo fenomeno del ritiro dei ghiacci ha innestato un ciclo perverso e ci vorranno secoli prima che il sistema terra-mare-aria abbia digerito questa scorpacciata di energia che l’uomo ha estratto in un secolo e che la natura aveva nascosto in migliaia di anni per darci un ambiente in cui vivere.
    Menomale che ci sono Kyoto ed i verdi che ci consolano con le loro energie alternative (che poi sono quelle preindustriali con l’aggiunta del solare, circa 200 W/m² su base annua!)
    Firenze: 14– 1 – 2007 Dott. Ing. Sergio Mannucci

  3. valeria scrive:

    Sono da un po’ di tempo sconcertata…mi chiedo e richiedo cosa si stia aspettando….si parla di incentivi per chi acquista un frigo a basso consumo nel 2007, o una lavastoviglie….Possono essere questi i rimedi per salvaguardare il nostro Pianeta?
    Non sarebbe ora di mettere in atto sistemi drastici come l’alimentazione a pannelli solari (dovrebbe essere un obbligo e dovrebbero esserci davvero dei forti incentivi per questo) e l’utilizzo di macchine a idrogeno per esempio? I nostri figli pagheranno la nostra noncuranza.

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