Quando un governo contraddice se stesso
Gent.mo signor DE CARLO dott. Cesare.
Fortunatamente, l’ennesimo rapimento, si è concluso con la liberazione della vittima, sul perché ed il come della liberazione, come in quasi tutti i casi, probabilmente non si saprà mai la “vera” verità.
Il mio pensiero va però al comportamento dello Stato, che per prima cosa, a notizia del sequestro trapelata, tramite la magistratura, applicando le leggi vigenti, ha bloccato i beni della famiglia.
Linea dura, da me condivisa, decisa per ostacolare al massimo la possibilità di instaurare trattative, tra la famiglia ed i rapitori, per impedire in tale modo, di rendere fruttuosa l’azione criminale ed il suo proliferare.
Linea che però vale solo tra le “mura di casa”, perché quando i rapimenti avvengono all’estero, non solo si tratta, si paga in soldi, ma nell’ultima occasione, anche si pagano grossi pegni politici; avendo poi, conflitti diplomatici con governi amici.
La motivazione adotta e comunemente accettata, è quella della sacralità della vita: davanti alla salvezza di una vita bisogna tentarle tutte, lecite e meno lecite.
Però c’è un particolare da non trascurare, ed è quello che la lista dei rapiti morti ammazzati in Italia è molto lungo, mentre quello dei rapiti ammazzati all’estero (vado a memoria), fortunatamente, è molto basso.
Ma allora siamo al solito doppio pesismo, la morte all’estero, di un soldato o di un giornalista, riempie i mass media, la morte bianca di un lavoratore, in Italia, vale cinque righe.
Ne deduco quindi: che più notizia fa il rapimento, più sacra è la vita della vittima … quindi quasi zero in Italia, alta all’estero, il massimo in zone di belligeranza. Zone dove i rapiti, per ogni buon conto, avrebbe dovuto evitare di esserci.
Alla fine del tutto, nonostante i risultati positivi, lo Stato non fa certo bella figura, in quanto legifera in una maniera (che impone ai cittadini) e poi (quando è chiamato direttamente in causa) agisce nella maniera completamente opposta a quanto legiferato. Proprio un bell’esempio di coerenza!
Un’ultima considerazione, questa volta politica: Vorrei ricordare che chi ci governa adesso, sono gli epigoni dei democristiani e dei comunisti che in occasione del sequestro Moro, furono inflessibili nel rifiutare ogni trattativa con i rapitori, sapendo benissimo, vista la scia di sangue precedente, come sarebbe andata finire.
Decodificando il comportamento: Meglio la morte di uno statista che quello dello Stato.
Si dirà che dopo i ripensamenti su Budapest, sulle foibe, sugli eccessi dell’immediato dopoguerra, e su altro, adesso è arrivato anche un primo ripensamento su quell’infausto episodio (da Fassino), ma questo è un altro discorso che ci porterebbe lontano.
Ringraziando per la cortese attenzione, distintamente saluto.
Romolo Rubini
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L’aspetto sconcertante della vicenda Mastrogiacomo non sta tanto nella trattativa con i terroristi. Lo aveva già fatto il governo Berlusconi (un precedente che comunque non giustifica Berlusconi come ora non giustifica Prodi). La cosa più sconcertante è la maniera.
Ricapitoliamo: Prodi e D’Alema esercitano massicce pressioni sul governo afgano che detiene i talebani (alcuni dei quali autentici killer) di cui si chiede la liberazione in cambio dell’ostaggio. Il loro è un vero e proprio ricatto: politico, economico, militare. E razzista. Minacciano di bloccare gli aiuti, di ridurre il contingente, di disimpegnarsi sul piano operativo e diplomatico.
Il razzismo sta nell’essersi mobilitati per la liberazione dell’ostaggio utile, l’italiano, abbandonando al loro destino i due ostaggi inutili, gli afgani. Che infatti a distanza di qualche settimana subiscono identica sorte. Vengono decapitati dai talebani. Cioè dalle bande per le quali, in nome dell’indipendenza del popolo afgano, parteggia una parte non trascurabile dell’attuale coalizione di governo.
Prodi e D’Alema negano le pressioni. Karzai li smentisce rivelando drammatici retroscena.
Retroscena a parte, la realtà è che gli italiani, in zona bellica, sono diventati merce preziosa per qualsiasi gruppo terroristico. Soprattutto i giornalisti e soprattutto se di sinistra. Per loro si mobiliteranno il buonismo e il pacifismo della nostra sinistra, si terranno marce, fiaccolate. Si chiederà l’intervento del governo. Ma perché? Un giornalista non è un dipendente pubblico, per il quale uno Stato ha un’obiettiva responsabilità. Un giornalista è un privato, dipendente da un’azienda privata, in missione privata. Per lui lo Stato non deve impegnare pubblico denaro e nemmeno compromettere la sua politica estera. Né – peggio – perdere la faccia di fronte agli alleati quando si è impegnati in operazioni di guerra. L’affidabilità internazionale è un patrimonio prezioso, facile da dilapidare e difficile da ripristinare.
Lei potrà obiettare che anche Blair ha trattato per i suoi marinai. E’ vero. Ma erano – ripeto – dipendenti pubblici. E in ogni caso il loro rilascio è stato negoziato con un governo riconosciuto all’Onu e non con terroristi o (e) fanatici religiosi.
Infine d’accordo sul doppiopesismo. In Italia se un padre vuol trattare con i rapitori del figlio, si vede i conti correnti bloccati e i beni congelati. E’ la legge. Ebbene questa legge sembra non avere alcun valore all’estero. Ancora una volta il governo contraddice se stesso.