Darfur: genocidio e promesse inutili
ONU- Oltre 200 mila morti e 2,5 milioni di rifugiati non sono ancora cifre in grado di fermare il genocidio. Le Nazioni Unite non riescono a trovare il consenso sul Darfur. Il segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon lancia l’allarme, ma riceve una lettera dal presidente sudanese Bashir nella quale si dichiara per ora indisponibile ad accettare le forze di pace del Palazzo di Vetro.
L’America però ieri ha deciso di alzare la voce spedendo in Sudan il vice segretario di stato John Negroponte, per quello che viene definito come l’ultimo avvertimento della Casa Bianca.
Negroponte, ex ambasciatore all’Onu e a Bagdad, ma anche ex capo della Cia e dei servizi di spionaggio americani, è l’uomo dei “messaggi forti”. Dirà a Bashir e alle milizie arabe degli Janiaweed che spalleggiano il suo governo, e che vengono giudicate responsabili di massacri e stupri indiscriminati, che il tempo per la diplomazia potrebbe scadere molto presto.
La Casa Bianca, attaccata anche dagli attori di Hollywood come Clooney e la Jolie, che sostengono la campagna per “fermare il genocidio”, ha deciso di spingere sull’acceleratore e premere sul Consiglio di Sicurezza affinché molto presto, nonostante la secca opposizione della Cina si arrivi ad un voto che punisca con sanzioni il governo di Bashir.
Già a settembre dello scorso anno Bush nel suo discorso al palazzo di Vetro aveva indicato la crisi del Darfur come uno dei “banchi di prova” proprio delle Nazioni Unite.
Andrew S.Natsios, l’inviato speciale americano in Sudan, è stato convocato per oggi dalla commissione esteri del Senato, mentre i democratici accusano il presidente di “impotenza”.
Questa volta però Bush avrebbe urlato, dando direttamente a Negroponte l’ordine di partire e di tornare con dei risultati.
La crisi africana che dura dal 2003, quando due gruppi ribelli il Jem (Justice and equality movement) e lo Sla (Sudan liberation army) erano insorti contro il governo scatenando la brutale reazione delle autorità accusate di corruzione, violenza e sfruttamento, ha costretto centinaia di migliaia di persone ogni mese a trovare rifugio al nord o in campi profughi gestiti dalle Nazioni Unite.
Su pressione di americani e inglesi nel 2005 si arrivò ad una sorta di trattato di pace, ma lo Sla si ritirò al momento della firma. Divisioni interne fra gli stessi ribelli fecero sorgere un nuovo movimento guerrigliero nel 2006 il National Redemption Front (Nrf), ma le frizioni continuarono, iniziando a seguire le appartenenze tribali.
Solo nel gennaio 2007 un piano destinato a mettere insieme tutti i leader ribelli che avevano accettato il cessate il fuoco, venne a fatica concordato con l’Onu, ma le forze aeree sudanesi su ordine del presidente Bashir bombardarono i villaggi nel Nord Darfur rendendo la crisi sempre più sanguinaria e la pace e la riconciliazione nazionale sempre più lontane. Gli uomini delle Nazioni Unite continuano a trattare e sperano che Bashir nei prossimi giorni autorizzi l’ingresso dei 3000 soldati sotto la bandiera del Palazzo di Vetro. L’America questa volta però non intende più perdere la faccia con semplici minacce e si dice pronta ad agire con fermezza per fermare la strage degli innocenti se Bashir non favorirà la svolta. E Google Earth il formidabile servizio satellitare delle mappe mondiali via Internet in collaborazione con United States Holocaust Memorial Museum ha lanciato la sua denuncia globale mettendo nel sito il Darfur villaggio per villaggio. Cliccando sulle zone della crisi si vedranno le case in fiamme, il paese distrutto e in ogni area il numero dei morti dei feriti e dei profughi. Finire nel più grande “bulletin board” del mondo ha un significato solo: svegliare quelle coscienze che ancora riposano e aprire gli occhi di chi li ha sempre voluti chiudere.
Lo slogan di Google inoltre richiama il presidente Bashir e gli altri che praticano la violenza dicendo: “Vogliamo farvi sapere che vi stiamo guardando”.
Giampaolo Pioli