18 Luglio 2007
VISTO CHE il criterio segue l’induzione dei cattivi pensieri che un’opera può suscitare soprattutto se l’autore pratica l’amore uranista, che facciamo, censuriamo anche il David in considerazione dell’attrattiva che gli ignudi esercitavano su Michelangelo, così preso dalla sua omosessualità da essere scrittore e poeta ispirato dai suoi amati? Statua tanto più scandalosa, perché ispiratrice della bellezza ariana, scolpita nei marmi di Arno Backer, il prediletto di Hitler.
Appurato che Vittorio Sgarbi è davvero il più capace discepolo di Guy Debord che nelle barricate sessantottine intuitì la società dello spettacolo, basata su «ciò che appare è buono e ciò che è buono appare». E ottenuto il riprovevole risultato, c’è da augurarsi che la giunta di Letizia Moratti, che venerdì prossimo riesaminerà il caso della mostra censurata su “Arte e omosessualià”, ci ripensi e consenta a questa mostra senza storia, che ha già avuto dalla cronaca più di quanto potesse mai aspettarsi, possa essere aperta, alle condizioni inizialmente previste, ovvero con l’accesso consentito ai soli visitatori di maggiore età.
Salvo rare eccezioni come Luigi Serafini che nobilitano il catalogo, le altre opere presenti offrono ben poco alle attese dei visitatori, che speriamo possano vedere questa brutta mostra che si presenta con una ridicola classificazione delle tendenze sessuali. Evidente strumentalizzazione per dare visibilità a quadri che sono per la maggior parte pura provocazione come il titolo.
Altrimenti chi se la sarebbe filata una mostra così scadente? La questione è di principio, per non apparire come i persecutori medievali di Barbablù, che lo condannarono perché leggeva degli eccessi dei Cesari sui libri di Svetonio, ed evitando l’imbarazzo di dover censurare, per logica indotta, anche Botticelli, Raffaello, Leonardo da Vinci e Caravaggio, che erano omosessuali.
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18 Luglio 2007
DALLA CATTEDRA di capitale economica ha insegnato all’Italia come si fa a lavorare e ora Milano sta cercando di imparare come si fa ad essere una città d’arte. Una risorsa di cui già dispone in abbondanza ma che non sempre utilizza al meglio.
E’ fuori discussione che questa sia la città più liberale che si possa immaginare, più libera, più tollerante, più ospitale, più curiosa, più intelligente, più aperta al nuovo, più bisognosa del nuovo, più attenta alle diversità, più nemica dell’indifferenza, più pronta alla solidarietà. Senza rinunciare ai suoi tratti caratteriali di severità, o per meglio dire di rigore, di rispetto dell’etica e delle fedi. Ma detto e riconosciuto questo, bisogna che coloro che rappresentano Milano non solo siano ma anche appaiano.
I più severi che da ieri transitano davanti all’ingresso sbarrato della mostra sull’arte omosessuale, allestita ma rimasta chiusa nel Palazzo della Ragione (sic) sono, mi ha detto il libraio della bancarella lì accanto, gli stranieri, che guardano con rimprovero quei cartelli che denunciano che la mostra è stata censurata. Se Sgarbi avesse fatto una passeggiata invece di farsi venire in mente questa mostra con questo titolo provocatorio, Arte e omosessualità, avrebbe fatto meglio. Anche perché che senso ha etichettare l’arte in base ai gusti sessuali? Ma una volta scelto, non si può tornare indietro e recitare la parte di quel bambino che nella “Guerra dei bottoni”, piagnucola: «Se sapevo non avrei venuto».
Ci piace comunque questa Milano imperfetta, che arranca nell’affrontare problemi epocali, come l’inquinamento, ma si infiamma attorno alle questioni dell’arte. E’ un buon segno. Rassicurati dal fatto che non c’è più l’Indice (credo), non ci sono più i roghi di libri, non ci sono più le foglie di fico da mettere davanti alle pudenda di marmo. Sebbene resti sempre da difendere il principio che l’arte, anche se è artucola, articoluccia o pseudo-arte non è censurabile. Nè da parte di tribunali, nè di politici, nè tanto più di assessori.
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27 Giugno 2007
PRODI ha ragione a sentirsi archiviato e ad essere adirato per come è stata costruita la candidatura di Veltroni alla guida del Pd, ma non dovrebbe sorprendersi dei metodi. La sinistra italiana non ha mai brillato per gratitudine e memoria. L’aver scelto Torino come città dove dare il grande annuncio è stato associato al sindaco Chiamparino, spiegato come risposta alle ampolle d’acqua padana di Bossi, perfino abbinato al business delle Olimpiadi invernali. Completamente ignorato il particolare che Torino è la città dove si è affermata la cultura politica di un signore che si chiamava Antonio Gramsci coniugata al liberalismo di Gobetti. Non avrebbe ragione Gramsci ad adirarsi nel veder preferire Chiamparino, come argomento da accostare al gran passo di Veltroni?
Sui metodi, poi, stendiamo un velo pietoso. Mi sono capitate tra le mani alcune lettere che Romano Bilenchi scrisse a Elio Vittorini dopo la vicenda de “Il Nuovo Corriere”, il giornale di sinistra che fu chiuso per il solo fatto che il direttore Bilenchi aveva difeso gli operai di Poznan, che nel giugno del ’56 si erano ribellati al regime comunista. Il Pci chiuse il giornale nel giro di un mese, lo fece mentre Bilenchi era in ferie e scaricò sullo stesso Bilenchi la responsabilità della chiusura, in seguito alla quale tutti i dipendenti si trovarono per strada da un giorno alll’altro. Prodi non è Bilenchi ma nel ripensare a quella porcheria si giunge a due conclusioni: 1)che i mali della sinistra italiana sono sempre i soliti, più democrazia nelle parole che nei fatti; 2)in fondo la sinistra di oggi non è peggiore di quella di ieri.
Sempre altalenante tra depressioni e ottimismi, come quelli che oggi si leggono nelle parole del designato e che partono dal dogma che il futuro è sempre migliore del passato: da qui la facile amnesia. «Non sono mai stato comunista», disse Veltroni. «Mi candido per rompere col passato», dice oggi.
Scriveva amaro Bilenchi all’amico Vittorini, che gli aveva proposto di rientrare in politica: «Io non credo a questi partiti: il Pci, il Psi, il Psdi sono sputtanati, sputtanatissimi. Io penso che noi dovremmo se mai agire perché si formi un partito di sinistra più moderno, democratico, per vedere di rimediare a questa ignobile baracca». Provate a cambiare le sigle e a dimenticare che questa è un’opinione di 50 anni fa.
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26 Giugno 2007
PROVATE A trovare un altro paese al mondo, che si ritrova con i collegamenti ferroviari paralizzati, perché un gruppetto di passeggeri non vuol pagare il biglietto. L’Italia divisa in due non per le solite vertenze sindacali, ma perché sul treno Salerno-Milano il capotreno pretendeva che i viaggiatori avessero un regolare biglietto. Peggio. Come hanno raccontato i contestatori, il controllore ha perfino osato disturbarli mentre dormivano. Quanti erano? Un centinaio. Più o meno la stessa cifra, che moltiplicata per milioni indica i danni che hanno provocato. E chi risarcisce i danneggiati? Migliaia di persone costrette a ricorrere all’aereo o al noleggio auto o ad altri mille espedienti mentre quel centinaio di prepotenti se ne stavano indisturbati a bloccare il traffico della stazione Tiburtina. Non capivano, i contestatori, per quale motivo altre volte, da mesi, anche se trovati senza biglietto il ferroviere chiudeva un occhio e questa volta invece no.
LA STORIA è andata avanti dalle 4 del mattino fino a tutta la mattinata, ma il traffico ferroviario è rimasto sconvolto anche nel resto della giornata, tanto per far un esempio a metà pomeriggio c’erano ancora treni che avevano 6 ore di ritardo. E per quanto strano possa sembrare nessuno, dicesi nessuno, ha convinto con le buone o le cattive quei manigoldi a togliersi dai binari. La polizia, sì, c’era alla stazione Tiburtina ma è rimasta a guardare. Tutti in assetto antisommossa ma disarmati dell’unica arma regolamentare che avrebbero dovuto avere: l’ordine di prendere ad uno ad uno quegli individui e trascinarli via da là. Perché nessuno ha dato quell’ordine? Perché si è consentito che si provocasse un danno così grave? Perché siamo l’unico paese al mondo in cui ci sono forze politiche che pur di racimolare qualche voto non chiamano mascalzoni i mascalzoni ma li chiamano lavoratori che chiedono il biglietto equo? Perché non c’è un governo che assicuri queste elementari regole della convivenza?
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12 Giugno 2007
SI DIRÀ che la Lombardia non è l’Italia, e allora prendiamo i risultati nazionali. 20 a 10, ovvero 20 comuni capoluogo andati al centrodestra contro 10 al centrosinistra vi sembrano pochi?
L’Unione si consola con Genova, tralasciando com’è giusto quel risicato 51,4 per cento in una città che ha sempre visto grandi numeri a sinistra. In politica poichè uno più uno non fa mai due, non fa quasi mai, è consentito disquisire sul fatto se una batosta così sia stata o no una spallata al governo Prodi, ma non ci sono argomenti consolatori capaci di far tornare il sorriso sul volto di Franco Mirabelli, segretario della federazione milanese dei Democratici di sinistra, che ha lucidamente detto: “E’ un risultato negativo, nonostante la vittoria a Cernusco sul Naviglio, che conferma la crisi acuta del rapporto tra il governo di centrosinistra e questa parte del Paese”.
Il ballottaggio si è concluso con un 8 a 1, dove quell’uno, senza nulla togliere al merito del vincitore e senza voler rovinargli la festa, è stato un autogol, perché a Cernusco, comune dell’hinterland milanese, il candidato di centrodestra Cassamagnaghi non stava simpatico al segretario della Lega e per non votarlo ha invitato i suoi ad andare al mare, consiglio che hanno seguito. Concedendo così al centrosinistra la non poca soddisfazione di conquistare un comune sempre stato storicamente bianco. Il controdestra ha però di che consolarsi perché al ribaltone di Cernusco risponde con due ribaltoni in altri due comuni dell’ex cintura rossa milanese, San Donato e Garbagnate. Concludendo con un risultato di questo tipo: nella fascia dei comuni rossi attorno alla Madonnina prima di questo voto il rapporto tra destra e sinistra era di 2 a 11 e ora è di 7 comuni al centrodestra e 6 al centrosinistra.
Muta la geografia politica milanese ed è una svolta che taglia radici storiche. Per fortuna del presidente di sinistra alla provincia milanese, Filippo Penati, le elezioni sono lontane e da qui al 2009 il vento può cambiare. Anche se per la sinistra non è un problema di vento ma di timonieri.
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