L’Italia si scalda il doppio. Ma la finanziaria se ne accorgerà?

8 Settembre 2007

Il nostro paese, spiega il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), si scalda il doppio del resto del mondo: 1.7 gradi in 200 anni, grossomodo un grado in cento. E questo dovrebbe preoccupare, portare a scelte conseguenti. Ma i dati scientifici, specie in Italia, sono solo una delle molte variabili nelle scelte politiche. Di sicuro non la più importante.

Martedì e mercoledì a Roma ci sarà la conferenza nazionale sul clima, un appuntamento voluto dal ministro del’Ambiente per fare il punto sulla situazione per quanto riguarda il nostro paese e per avviare il processo che porterà alla definizione della strategia nazionale di adattamento. Tardi, ma anche noi ci stiamo arrivando.

La Conferenza nazionale [osteggiata da quanti nel governo come Realacci (dl) o Bersani (ds) avrebbero preferito una conferenza su energia e clima] avrà però anche un altro obiettivo, neppure troppo nascosto: serve come strumento di pressione per orientare le scelte della Finanziaria in una direzione ecocompatibile e sensibile all’emergenza climatica. Ecco perchè Pecoraro Scanio l’ha voluta ora.

Si accorgerà Tps (e con lui Romano Prodi) che l’Italia si scalda il doppio di altre parti del pianeta? Che come scrive l’Ipcc è una delle due aree più sensibili ai cambiamenti climatici? Lo sapremo presto. Il problema è che non bastano le dichiarazioni di principio, serve l’allocazione delle risorse (ad esempio un grande piano a favore dei trasporti pubblici a basso impatto) e servono le scelte in primis nel settore energetico. Se in ossequio alla pur necessaria diversificazione del mix energetico si consentirà ai produttori elettrici di scegliere il cosiddetto “carbone pulito” (che è ovviamente in controsenso in termini visto il suo contenuto di carbonio…) si andrà infatti nella direzione opposta.

Con gli incendi va in fumo anche Kyoto

31 Agosto 2007

Dalla padella alla brace. Fino al 26 agosto sono andati in fumo circa 53.700 ettari di superfici boscate e roghi che hanno devastato tanta parte del territorio e hanno causato anche morti e feriti hanno fatto anche un altro danno all’ambiente: prodotto 7 milioni e 323 mila tonnellate di CO2, una quantità di gas serra equivalente a quella emessa ogni anno dall’industria nella produzione di sostanze chimiche. Qualcosa come il 5% delle nostre emissioni, grossomodo quasi quanto dovremmo ridurre per il protocollo di Kyoto. E questo senza contare che, come osserva il fisico Vincenzo Ferrara, “le foreste e i boschi andati distrutti non faranno il loro lavoro di assorbimento della CO2, aumentando il danno all’equilibrio del sistema climatico”.

“Chi mette a fuoco un bosco non danneggia solo la sua comunità ma anche il clima della Terra”, rileva il ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio. “Le cifre sul contributo degli incendi di quest’estate all’aumento delle emissioni di gas serra - ammonisce Pecoraro Scanio - non lasciano spazio a dubbi: questo reato va giudicato come un vero e proprio attentato contro la salute del pianeta e dei cittadini”. Dalla Conferenza nazionale sui cambiamenti climatici _ in programma per il 12 e 13 settembre a Roma _ usciranno delle proposte strategiche per la gestione del territorio in tempo di cambiamenti climatici. E un capitolo sarà riservato anche alla tutela degli ecosistemi da minacce come gli incendi che aumenteranno nei prossimi decenni se non si agisce per depoteziare il differenziale di rischio costituito dalle condizioni maggiormente siccitose che sono una pacchia per gli incendiari”.

“I sistemi di allerta rapida si devono combinare con le azioni di ripristino e restauro ecologico per il mantenimento degli equilibri naturali: il bosco - spiega il ministro dell’Ambiente - è un argine al cambiamento climatico, e come tale la sua protezione va messa tra le priorità di governo del territorio”. Vedremo la conferenza. E vedremo la finanziaria…

Incendi e chiacchere

4 Agosto 2007

A novembre saranno sette anni che è entrata in vigore la legge quadro sugli incedi boschivi, la 353 del 2000, e oltre due comuni su tre (un dato esatto non c’è, e la stima è assai ottimistica) non sono stati capaci di allestire il catasto aree bruciate, strumento essenziale per evitare speculazioni sulle aree percorse sul fuoco.
Adesso il responsabile della Protezione civile dice che il catasto dovrà essere affidato ai prefetti. Proposta probabilmente saggia visto che la maggior parte dei comuni hanno fallito. Se non si vuole seguire il suggerimento del ministro dell’Ambiente (affidare a commissari “ad acta” la realizzazione dei catasti in ogni comune che risulti inadempiente entro un paio di mesi) perchè troppo impopolare nei confronti degli enti locali, allora si tolga la patata bollete ai comuni e si realizzi il catasto sotto la diretta responsabilità delle autorità locali del governo. Ma si faccia qualcosa, perchè sennò finiremo nel solito vizio italico delle chiacchere. Denuce, proclami, solenni promesse, talvolta anche leggi nuove di zecca che però poi si arenano del deserto, inapplicate e prigioniere della loro maledizione: bastarsi, parlarsi addosso, autocmpiacersi, non produrre effetti.
Il catasto serve operativo entro la prossima estate e continuare a comprare elicotteri e Canadair (o a cercare di comprarli senza riuscirci, come accade alla Forestale) non è una soluzione, è una pezza. Oltre ad essere molto più costoso. Canadair e altri mezzi aerei saranno sempre necessari perche ci saranno sempre incendi sui quali intervenire ma affidarsi quasi esclusivamente a soluzioni ex post è un tragico errore. Prevenire è meglio che curare….

Se il Po finisce a Ferrara

16 Luglio 2007

Riduzione della portata del fiume dovuta ai cambiamenti climatici, prelievi largamente eccessivi rispetto alle disponibilità. E allora il rischio è che il Po, il più grande fiume italiano si salinizzi molto lontano dalla foce: da 100 a 200 chilometri.
L’allarme è stato lanciato oggi nel workshop organizzato a Parma dall’Apat in vista della Conferenza nazionale sui cambiamenti climatici che si terrà in settembre a Roma. Apat spiega che “la portata del piu’ grande fiume italiano e’ scesa del 20-25% nello scorso trentennio: su ogni 10 litri di acqua che arrivavano in precedenza alla foce del Po, ne mancano oggi all’appello piu’ di due”. Un trend destinato a peggiorare: “Le piogge sono diminuite negli ultimi 30 anni del 15-20% nel bacino del Po- dice- mentre i cambiamenti climatici stanno portando a una contrazione media del 10% delle precipitazioni sull’intera penisola”. La colpa è anche dei diritti di prelievo (e quindi dei prelievi) eccessivi, che ammontano a qualcosa come 1800 metri cubi al secondo: una enormità dato che a Pontelagoscuro la disponibilità idrica ammonta a 1500 mcubi al secondo (media storica). Nei fatti, sono i dati forniti dall’Apat, si prelevano dal Po due miliardi e mezzo di metri cubi di acqua all’anno, di cui oltre il 73% destinati all’agricoltura. E dal workshop emerge che questo non è piu sostenibile: servono tecniche di irrigazione diverse, che consumino meno acqua e serve anche probabilmente l’abbandono delle coltivazioni che consumano troppa acqua come riso, mais e kiwi a favore di altre più “parche”.
“Se non agiamo immediatamente utilizzando tecnologie innovative in agricoltura e nell’industria _ osserva il coordinatore nazionale della conferenza, Vincenzo Ferrara _ tecnologie già oggi ampiamente disponibili e che ci consentirebbero di ridurre drasticamente il consumo di acqua, corriamo il rischio che il nostro maggior fiume possa salinizzarsi a 100-200 chilometri dalla foce, con conseguente irreversibile compromissione della qualità delle nostre risorse idriche”. Sia per uso potabile che irriguo.
Interessa a qualcuno?

Chi ha paura di Live Earth

9 Luglio 2007

Il giorno dopo “Live Earth”, il megaconcerto organizzato da Al Gore in 8 città del mondo (http://www.liveearth.org/)
per mobilitare l’opinione pubblica si temi del cambiamento climatico, si moltiplicano le prese di posizione critiche. In particolare, si osserva con malcelata soddisfazione, l’iniziativa sarebbe ipocrita perchè ha contribuito ad aumentare le emissioni globali. Secondo “Carbon footprint” per qualcosa come 31.500 tonnellate di Co2, che diventano 75 mila considerando l’accensione di due milioni di televisori e di milioni di ore di traffico internet.
E invece ipocrita è chi la critica. “Live Earth” ha infatti chiarito da subuito che tutta l’elettricità necessaria agli otto concerti sarebbe stata acquistata sul mercato elettrico da fonitori che ne garantivano la provenienza di fonti rinnovabili, che gli spostamento del personale di “Live earth” e degli artisti (150 tra solisti e band) sarà compensato attraverso l’acquisto di crediti di carbonio, che ai concerti sarebbero stati utilizzato il più possibile materiali ecocompatibili (ad esempio, plastiche a base di mais per i bicchieri e gli imballaggi dei cibi) e sarebbe stato effettuato un rigoroso riciclaggio. Così è stato, e le 31.500 tonnellate di carbonio (le 75 mila considerando la tv accesa sono una boutade dato che la stragrande maggioranza di coloro che ha guardato lo show in tv o su internet avebbe guardato qualche altro programma o navoigato comunque e quindi la tv o il computer sarevebbero comunque state accese) sono quindi alquanto virtuali e servono solo per gettare un pò di sabbia negli occhi per distogliere lo sguardo da quei due miliardi di spettatori _ in larga oparte giovani, ma non solo _ che turbano il sonno dei partigiani del petrolio e del carbone, campioni della politica dello struzzo. Che da ieri hanno un pò più paura che la consapevolezza cresca e che la gente scelga consapevolmente.