5 Novembre 2007
Guardi, non ne faccio una questione di partito, ma solo di buon senso. Non sono un simpatizzante di Alleanza Nazionale e anzi questo partito non l’ho mai votato.
Ma perbacco questa volta Gianfranco Fini ha proprio ragione. I rom sono zingari e come tali non riusciranno mai a integrarsi. E nemmeno lo vogliono.
Il che vuol dire molto semplicemente che, quando si presentano alle nostre frontiere e chiedono di entrare in nome della libera circolazione di cui ora godono anche i cittadini della Romania, fresco membro dell’Unione Europea, vanno decisamente respinti.
Le motivazioni vanno trovate. E un governo con i cosiddetti – scusi la volgarità – dovrebbe trovarle e farle valere.
Sono stanco. Siamo stanchi di subire la violenza importata, come se da noi non ci fosseri abbastanza problemi.
Ma questo governo per il quale ho votato e per il quale non voterò più ha il solo obiettivo di sopravvivere…
Metta solo le mie iniziali, per favore.
A.S., Rimini
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Già, come si fa a non essere d’accordo con Fini?
I rom hanno una mentalità, abitudini, tradizioni totalmente differenti dalle nostre. Hanno una lingua di origine asiatica che nulla ha in comune con quelle europee. Sono nomadi da millenni. Sono completamente estranei al concetto di proprietà. Al punto che il furto è considerato pratica comune, accettata come lecita o comunque logica. E così anche la violenza, se necessaria a procurarsi ciò che si vuole.
Pretendere di assorbirli è pio desiderio. Non si lasceranno mai integrare. Essere contrari al loro ingresso nel nostro Paese non è razzismo. E’ realismo. Come è realismo allargare l’analogia ai musulmani integralisti che chiedono la nostra ospitalità e una volta entrati proclamano di non voler rinunciare alle loro abitudini anche se queste sono in contrasto con le nostre leggi.
Anzi, nel rivendicare il primato della sharia, vale a dire l’applicazione dei precetti islamici alla vita civile, manifestano un’intolleranza che si urta con la nostra tolleranza e che alla fine in mancanza di difese ci porterà alla sottomissione.
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5 Novembre 2007
Se in novanta anni nessuno ha ancora trovato il momento giusto per dire certe cose ai Turchi, la signora Pelosi si è dovuta rassegnare a dirle nel momento sbagliato.
In quanto, poi, alla lobby armena che condizionerebbe la Pelosi, se anche fosse vero, ciò non diminuisce l’enormità del crimine.
Infine, visto che la Turchia bussa sempre più insistentemente alle porte dell’Europa, credo proprio che questo sia il momento giusto per porre i Turchi di fronte alle loro responsabilità.
senekaos@comune.siena.it.
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In diplomazia il momento è spesso più importante della sostanza. Quanto all’enormità del crimine non ci possono essere contestazioni.
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30 Ottobre 2007
…è possibile che gli attori americani subiscano l’influenza delle majors
ebraiche, però vorrei farle notare un’altra cosa:
anche in Italia e in Francia se non sei di sinistra sembra che tu non possa
fare l’attore, tranne rare eccezioni.
Quando Tornatore fu picchiato e rapinato da rumeni la prima sua
dichiarazione fu: “Non sono tutti così”.
Se questo non è il colmo…
Stefano Ferrari
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Come Lenin insegnava, la prima cosa da fare per l’erezione o il consolidamento di una ‘’democrazia popolare'’ era impossessarsi dell’apparato culturale. L’intellighenzia sarebbe divenuta strumentale perchè egemonizzata dal regime. E’ quello che accadde nell’Urss e nei Paesi dell’est, dove il regime si era già insediato. E’ quello che per molti decenni accadde in Italia, dove lo stesso regime si sarebbe voluto insediare.
Gli Stati Uniti non hanno mai corso un rischio del genere. La sinistra americana non era paragonabile a quella europea. Nondimeno lo schema mentale era analogo: la cultura come leva di potere. E così già alla metà del secolo scorso gli ebrei, che della sinistra americana costituiscono l’elite, avevano scalato il mondo del cinema, gran parte dell’editoria, parte della stampa quotidiana.
Ancora oggi a Hollywood i registi e gli attori di successo non liberal si contano sulle dita di una mano. E il motivo è semplice: la sinistra, quella democratica e ancor più quella totalitaria, è per tradizione e mentalità molto più abile della destra nella conquista della pubblica opinione. E nella propaganda.
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29 Ottobre 2007
Gentile Sig. De Carlo,
ultimamente mi pongo una domanda su cui vorrei conoscere il suo parere.
Ho notato che gli americani che arrivano in Europa (attori, registi, scienziati) sono tutti fortemente critici nei confronti dell’amministrazione Bush?
Al contrario la popolazione americana sostiene il presidente anche se non più come prima.
Secondo me questo è dovuto a un certo provincialismo del popolo statunitense che non si interessa di politica estera e che quindi è vittima della propaganda dei suoi politici.
Chi ha occasione, grazie al mestiere che fa e all’agiatezza economica di cui gode di conoscere il mondo, non può che criticare una certa arroganza e senso di impunità del governo americano (vedi cosa succede a Guantanamo).
Cosa ne pensa?
Aggiungo che io sono filo-americano ma certe volte esagerano…
Cordiali saluti
Stefano Ferrari
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Sì. L’ho notato e non mi sorprende. Almeno per quanto riguarda il mondo dello spettacolo. Vede, caro Ferrari, Hollywood, vale a dire il cinema e molte produzioni vendute ai networks televisivi, sono saldamente nelle mani di majors controllate da ebrei americani e dunque di tendenza liberal. Negli Stati Uniti il 90 per cento del voto ebreo va infatti ai democratici. Il che spiega le ricorrenti insofferenze nei confronti delle amministrazioni repubblicane.
Le critiche a Bush figlio richiamano quelle a Bush padre, a Reagan, a Nixon. L’unica differenza sta nell’intensità: George W. ha commesso non pochi errori di politica estera, benchè provocato dall’infamia dell’11 Settembre. La conseguente, inevitabile guerra al terrorismo è stata concepita male e condotta peggio.
Purtroppo è stato servito male da alcuni membri chiave del suo gabinetto, il vicepresidente Cheney e il segretario alla Difesa Rumsfeld in testa a tutti. Ma, come si dice negli States, the buck stops here, cioè nello studio ovale della Casa Bianca. Insomma la responsabilità è sua. Non per arroganza, ma per incompetenza.
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29 Ottobre 2007
Gentile Dottore,
Ha visto cosa ha fatto la Fiat? Senza alcuna richiesta sindacale, senza alcuna trattativa, senza scioperi ha aumentato il salario ai propri dipendenti. Ma ancora più interessante è la motivazione addotta dall’azienda. Le cose vanno bene, ha detto l’amministratore delegato Marchionne, abbiamo avuto profitti più alti del previsto, è giusto che ne goda anche chi col suo lavoro ha reso possibile il miglioramento.
Mi sembra un’iniziativa rivoluzionaria, anzi contro rivoluzionaria. Nel senso che apre prospettive nuove nel mondo del lavoro. Voglio dire che i dipendenti delle aziende private potrebbero anche rendersi conto che dei sindacati di categoria non hanno bisogno se hanno la possibilità di sostituire alla contrattazione nazionale, ormai anacronistica, la contrattazione aziendale. E se hanno la possibilità di istituire all’interno delle aziende organi rappresentativi che partecipino alla loro gestione o almeno che vengano consultati.
In questa maniera la partecipazione dei dipendenti renderebbe trasparente la gestione e consentirebbe di concordare aumenti salariali quando le cose vanno bene e sacrifici quando le cose vanno male (non possono andare sempre bene e mi sembra giusto che in tempi difficili i sacrifici ricadano anche sui lavoratori).
Non le sembra un buon suggerimento?
Angelo Brazzi
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No. O meglio il suo suggerimento mi sembra buono solo a metà. La partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese è un’idea vecchia. Fu tentata in Germania negli anni Settanta. Si chiamava mitbestimmung. Comportava la presenza nei consigli di amministrazione di anche una rappresentanza dei dipendenti con regolare diritto di voto. Non funzionò. Complicava e non snelliva la gestione. Ritardava e non accelerava le decisioni. Con danni per l’azienda, per la cui buona salute tutti ovviamente dicevano di agire.
Sono invece d’accordo con lei sul carattere innovativo dell’iniziativa della Fiat (imitata – nota bene – da qualche altra grande azienda del nord, come la Riello). Se i salari dei dipendenti fossero parametrati ai profitti, ecco che i burocrati del sindacalismo nostrano sarebbero sconfessati. Non ci sarebbe più bisogno di loro e delle loro fallimentari strategie. Prima fra tutte quella che ha condotto alla mortificazione del merito in nome dell’egualitarismo retributivo.
Per decenni i nostri sindacati hanno sostenuto l’appiattimento delle retribuzioni, la parità di trattamento per chi lavorava bene e per chi lavorava male, l’inamovibilità dei dipendenti pubblici, i baby pensionati. In sostanza invece di valorizzare, anche in termini salariali, il lavoro, si sono preoccupati di difendere l’ozio, di proteggere i fannulloni, di favorire chi il posto l’aveva già infischiandosene di chi nel mondo del lavoro cercava di entrare, cioè i giovani. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.
Di qui la forte opposizione dei sindacati alla decisione della Fiat. La Cgil l’ha definita carità. Stupidaggini. Le quali fortunatamente non sono condivise da tutti i sindacati. Una parte della Cisl per esempio non è d’accordo.Quella che si ribella all’egemonia della Cgil, che del sindacalismo ha fatto una professione politica, un mezzo ideologico e di potere, non di difesa degli interessi dei lavoratori.
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