Spionaggio in Ferrari, c’è una gola profonda:
Come nel Watergate seguite i soldi

5 Luglio 2007

Ci mancava solo ‘Gola Profonda’. Il comunicato di ieri della Ferrari, che attribuisce a una persona ‘estranea alla Formula Uno’ la soffiata che ha messo nei guai un ingegnere della McLaren, rimanda direttamente alle atmosfere, reali e cinematografiche, del caso Watergate. Abbiamo pure un informatore occulto, un custode di segreti bravissimo a distillarli al momento opportuno. Uno sceneggiatore di Hollywood non avrebbe saputo cavarsela meglio.

EH SÌ: questo è il Watergate dell’automobilismo post moderno. In mezzo, tra vittime reali e presunti colpevoli, ci sono tutti i pezzi grossi. La Ferrari-Fiat. La McLaren-Mercedes. Colossi della comunicazione come Vodafone. Tabaccai come la Philip Morris. Ingegneri di fama.
Assi del volante. Manager da copertina. E chi più ne ha, più ne metta. Forse, però, non c’è un Richard Nixon. Non esiste cioè un Grande Vecchio cui addossare la responsabilità finale. Non per niente Bernie Ecclestone (che, ironia della sorte, nell’ambiente chiamano ‘Il Padrino) ha già detto che i punti di Hamilton e di Alonso non si toccano, perché i piloti non c’entrano. Quanto alla McLaren, all’estero il teorema del ‘non poteva non sapere’, molto popolare nell’Italia dei primi anni Novanta, ai tempi del cortocircuito tra giustizia e politica, beh, semplicemente non esiste. Provare che i grandi rivali anglosassoni delle Rosse erano al centro dell’intrigo, meglio dirlo subito, sarà quasi impossibile. Anche se il sospetto rimarrà. Per sempre.

E ALLORA? Allora ‘Deep Throat’, cioè Gola Profonda, diede un consiglio perfetto a Woodward e Bernstein, i giornalisti che indagavano sul Watergate. Questo: follow the money, seguite il denaro. Qualunque sia il grado di coinvolgimento di Nigel Stepney, l’ex leader del box Ferrari, e di Marc Coughlan, ormai ex progettista della McLaren, la spiegazione del mistero sta nei quattrini. Questa, volgarmente parlando, è una faccenda di soldi. Trovate chi pagava chi e il giallo sarà risolto.

SE KIMI FA COME SCHUMI

1 Luglio 2007

Qualcosa dobbiamo, a questo Gran Premio di Francia, presumibilmente l’ultimo nel contesto agricolo di Magny Cours. In attesa di andare ad EuroDisney o a Versailles, la Formula Uno si è regalata uno spettacolino mica male. Ecco le mie considerazioni.
La prima riguarda Kimi. Non ho mai accettato la tesi, in verità bizzarra, di un suo improvviso imbrocchimento. L’uomo aveva dimostrato talento, negli anni McLaren. Poi, se si pretende di giudicarlo con il parametro Schumi, meglio lasciar perdere. Il tedesco era inimitabile, nel bene come nel male. In compenso, in Francia il biondino ha vinto con una mossa in stile Michelone, districandosi perfettamente nel traffico e sfruttando alla perfezione il meccanismo delle soste. Inoltre, finalmente ha azzeccato una partenza. Non male, per un presunto ubriacone.
La seconda riflessione si lega alla prima. Forse non è vero che Massa abbia imparato tutto da Schumi. Il modo in cui il brasiliano è riuscito a perdere il Gran Premio, lasciandosi imbottigliare nel traffico dei doppiati manco fosse un taxista alle prime armi, grida vendetta. La Ferrari non ci ha rimesso, ma la credibilità di Felipe come candidato al titolo direi di sì.
Terzo elemento. Anche Hamilton è umano. Voi obietterete che il Diavolo Nero ha comunque sfruttato l’occasione, incrementando il vantaggio aritmetico su Alonso. Osservazione ineccepibile, ma per la prima volta il Golden Boy ha cannato la partenza. E aggiungo che, accettando supinamente le demenziali strategie della McLaren, Lewis ha segnalato una tendenza all’appiattimento, quanto meno psicologico.
Quarto argomento. Invece di andare a cercare piste ad EuroDisney o a Versailles, i Paperoni della Formula Uno dovrebbero trovare il modo di valorizzare il talento dei piloti. A mio parere Alonso a Magny Cours è stato fantastico e però alla fine, dipendendo i risultati dalla griglia di partenza e dalle diavolerie dei geniacci addetti ai computer, è stato compensato, si fa per dire, con un patetico settimo posto. Questa è una autentica assurdità.
Infine, a livello tecnico la rimonta Ferrari ci restituisce nella sua validità una affermazione del magno Schumi. Costui, quando noi pennivendoli ci lamentavamo della noia padrona dei Gp, inesorabilmente rispondeva ricordandoci che nelle corse le cose possono cambiare totalmente nel giro di un paio di settimane. A Magny Cours è successo. Brava la gente di Maranello, adesso aspettiamo una controreplica McLaren: essendo le gomme uguali per tutti, i giochi di prestigio semplicemente non esistono.
P.S. Vedendo Kubica in pista e quasi sul podio, mi sono vergognosamente intenerito. Che ci volete fare, sarà l’età. Robert io lo chiamerei Lazzaro mentre Vettel, sostituto per una gara, mi fa venire in mente Paolo Villaggio nel film Superfantozzi. Dove l’attore interpretava l’unico erede del risorto…

IL TESORETTO PERDUTO DI MASSA-PADOA E KIMI-SCHIOPPA

17 Giugno 2007

Alla fine di questa gita nord americana, affido alla valutazione dei miei amici di penna, per dirla con Charlie Brown, una serie di considerazioni che vengono un po’ dal cuore e un po’ dal cervello. Ecco qua.
1) Spero per il governo e per li italiani che il famoso tesoretto esista davvero. Perché il famoso..extragettito sul quale aveva detto di contare la Ferrari, dopo la legnata di Montecarlo, semplicemente non c’era e non c’è. Le casse di Maranello sono vuote. Tra Montreal e Indy, la McLaren ha preso a bastonate la F 2007. Imponendosi con una disarmante superiorità.
2) Mi dispiace per i nostalgici di Schumi, tra i quali ovviamente mi iscrivo anche io, ma è meglio essere dolorosamente schietti: con una simile differenza di prestazioni tra le macchine, nemmeno il tedesco potrebbe vincere.
3) Viceversa, è persino ovvio che la gente di Maranello stia pagando l’assenza del Fenomeno di Kerpen in materia di mancato sviluppo della vettura. Dopo Barcellona, la McLaren ha compiuto un grande balzo in avanti. La Ferrari, nella migliore delle ipotesi, è rimasta ferma. Nella peggiore, è andata indietro.
4) Massa-Padoa e Kimi-Schioppa non hanno trovato il tesoretto, d’accordo. Però non è che stiano brillando, in pista. Il brasiliano, quando non può fare corsa di testa, è serenamente anonimo, nemmeno prova ad inventarsi qualcosa. Il biondino, che per disperazione aveva scelto di partire con gomme dure, unico tra i Vip, continua magistralmente a toppare tutte le partenze. A parte quella di Melbourne, non ne ha azzeccata una. Possibile sia sempre colpa del lato sporco della pista?
5) A fine corsa l’amico Luca Baldisserri, che della Ferrari è il capo ai box, mi ha detto che il vero problema riguarda la competitività in qualifica. Se parti sempre dietro, in corsa sei spacciato. Bene, concordo. Ma ci sono soluzioni, nell’immediato? Boh.
6) Venendo al Chiaro e allo Scuro, io sorvolerei sulle dichiarazioni più o meno credibili di Alonso, che prima della gara si sarebbe lamentato perché la McLaren mostra la sua telemetria al Diavolo Nero. Mi pare invece che Hamilton abbia smesso di essere una sorpresa e non solo perché ha preso gusto alla vittoria. Emblematico è stato l’atteggiamento del ragazzino nelle due circostanze (al via e verso il trentanovesimo giro) in cui Fernando ha provato l’assalto. La reazione di Lewis è stata cattiva, per la serie: amico, io non sarò mai il tuo Barrichello e tu non sarai mai il mio Schumacher.
7) Sono sicuro che la partita non è finita qui. Alonso ha capito che deve vincersela da solo, nel senso che non può aspettarsi favori indebiti da parte della scuderia. E questo va detto ad onore di Ron Dennis, che a me resta simpatico come un crampo allo stomaco ma che pure sta lasciando libero il ragazzino di giocarsela.
8) Se la Ferrari è questa, l’affare iridato riguarda in esclusiva il Chiaro e lo Scuro, in una logica che rimanda, per chi ha memoria, all’epopea del duello tra Senna e Prost.
9) Nel frattempo, noi ci teniamo Massa-Padoa e Kimi-Schioppa, sperando che da qualche parte, nascosto non so dove, ci sia davvero il mitico tesoretto. Per ora, se ne sono perse le tracce.

TRA HAMILTON E KUBICA

11 Giugno 2007

Scrivo queste righe quando in Canada e’ sera e da voi manca poco all’alba. Per molti aspetti, come credo possiate immaginare, ho rivissuto le sensazioni angoscianti del week end di Imola’94. Alla fine Kubica ha salvato la buccia, ma ci sono attimi che restano scolpiti nel fondo dell’anima, a prescindere dall’epilogo.
Su quanto accaduto qui a Montreal, ho una serie di osservazioni da sottoporre alla vostra considerazione.
1) A me Max Mosley, il numero uno della Fia, non sta simpatico. Ma riconosco che a lui si deve l’impegno di tutte le scuderie, dopo i disastri di tredici anni fa, per una estremizzazione dei concetti di sicurezza passiva. Senza Mosley, domattina andrei a salutare Kubica all’obitorio e non all’ospedale.
2) Al tempo stesso, risulta insostenibile, proprio per quanto si promuove sul fronte della sicurezza, allestire Gran Premi su un circuito come quello canadese. Io adoro Montreal, trattasi di citta’ meravigliosa. Ma ha senso mandare le monoposto di Formula Uno a sfrecciare a pochi centimetri da muretti in cemento, con piloti ormai abituati alla esistenza di larghissime vie di fuga?
3) Avrebbe senso solo se facessimo nostra la cultura americana dell’automobilismo. Gli statunitensi amano gli ovali e conservano il culto del botto, dello schianto contro il muro, eccetera eccetera. Vale per la Irl come per la Nascar. Ma la nostra cultura resta diversa. Felicemente diversa, mi permetto di aggiungere.
4) Esaurito il discorso-Kubica, faccio notare che in una gara tempestata dagli errori di quasi tutti l’unico a mostrarsi perfetto si chiama Lewis Hamilton. Qui siamo di fronte ad un Fenomeno, poche balle e poche chiacchiere. Hamilton aveva visto Montreal (parlo del circuito) solo in fotografia e su simulazioni al computer. Ebbene, ha dominato l’intero week end. Su una pista a lui sconosciuta.
5) Non so quale debba essere il verdetto finale del campionato, ma Hamilton va considerato il vero erede di Michael Schumacher, con buona pace di Fernando Alonso.
6) Lo spagnolo vive un momento di inatteso disagio. Ho capito il suo tumulto interiore ammirandone (si fa per dire) la sgangherata partenza. Se fosse tranquillo, non si preoccuperebbe talmente tanto di saltare alla curva numero uno il presunto gregario.
7) La crisi della Ferrari non lascia spazio ad equivoci. Diventa ridicola l’interpretazione che la Scuderia aveva dato del flop di Montecarlo. Altro che eccezione! La McLaren viaggia su un altro pianeta e si vede.
8) Kimi sta diventando un problema, ben oltre i limiti presenti della monoposto. L’errore al via appartiene a lui medesimo in esclusiva. Il sorpasso subito da Alonso in corsia box, idem. Qui qualcosa non torna, perbacco.
9) Un anno fa, la domenica sera in Canada, un tizio mi disse: . Il tizio si chiamava e si chiama Michael Schumacher. Ce li vedete Massa e Raikkonen nello stesso, spavaldo ruolo di inseguitori?
10) Infine, la norma nuova sui rifornimenti in presenza di safety car rappresenta una stronzata, punto e basta. Se uno a corto di benzina deve fermarsi per forza a rifornire (come Alonso e Rosberg qui a Montreal) viene punito! Siamo alla esaltazione del concetto di lotteria, con esasperazioni che si estendono alla squalifica (per semaforo rosso ignorato:ma in quella situazione…) di Massa e Fisichella. In materia, Mosley non merita elogi ma pernacchie.
Aspetto, come sempre con affetto, le vostre opinioni.

PIERO FERRARI E L’ULTIMA VERITA’ SU GILLES

3 Giugno 2007

Su Enzo Ferrari è stato scritto di tutto e di più. Tra gli italiani del Novecento in pochi hanno contribuito quanto lui a riempire gli scaffali delle librerie:nel mio piccolo, a suo tempo ho contribuito anche io alla proliferazione letteraria sul soggetto.
Magari penserete che il troppo stroppia e forse avete un briciolo di ragione: eppure, alla sterminata pubblicistica sulla vita del Drake di Maranello, sui suoi pregi e sui suoi difetti, qualcosa mancava. Mancava il racconto, in presa diretta, dell’unico erede. Perchè è inutile girarci attorno: noi biografi possiamo essere scarsi oppure bravissimi, non importa: saremo sempre in una oggettiva condizione di inferiorità rispetto a chi ha trascorso un pezzo di vita accanto al Personaggio, conoscendolo non tanto nella celebratissima dimensione esterna, quanto piuttosto nella identità intima, privata. Unica.
Insomma, Piero Ferrari ha colmato un vuoto. Ed è stato coraggioso, nel dare alle stampe il suo ‘Ferrari, mio padre’ (editore Aliberti): spesso ci sono, nella esistenza della tua famiglia, cose che preferiresti evitare, dribblare, tacere. Non sempre i ricordi segreti sono piacevoli e non necessariamente corrispondono al mito, alla figura alimentata dalla leggenda.
Piero, oggi vicepresidente della azienda che porta il suo nome, ha avuto la forza di non eludere le domande scomode: ha scelto, con garbo, la strada della confessione sobria e però non priva di effetti a sorpresa.
Esempi? Tanti. Non tutti sapranno, per dire, che nel 1982, all’indomani della lite di Imola tra Villeneuve e Pironi, il Vecchio non prese affatto le difese dello sconvolto canadese: anzi, in buona sostanza giustificò il comportamento del francese. E lo giustificò perchè Ferrari sapeva che Gilles aveva ormai deciso di lasciare il Cavalino, alla fine della stagione: dunque, non meritava trattamenti di favore. Seguì Zolder, l’epilogo tragico di una favola spezzata.
E ancora. Lauda si ritirò nel diluvio del Fuji, buttando un mondiale alle ortiche, non per un attacco di fifa blu, ma in omaggio ad un calcolo che si rivelò clamorosamente sbagliato: era convinto, l’austriaco, che tutti i suoi colleghi si sarebbero ritirati, causa diluvio. Per una volta lui, il ragionier Niki, rimase fregato dalla sua proverbiale furbizia.
Le candide memorie di Piero accendono fari su angoli di storia dell’automobilismo: come nacque la relazione speciale tra suo padre e Mauro Forghieri? E cosa determinò un divorzio che, con il senno di poi, venne emblematicamente a segnare la conclusione di un’epoca? Come mai uno sbarbatello come Luca Cordero di Montezemolo arrivò giovanissimo al timone del Reparto Corse? Da chi era raccomandato? E’ vero che i famosi libri del Drake, da ‘Le mie gioie terribili’ fino a ‘Piloti che gente’ in realtà li ha scritti Franco Gozzi, un Cyrano de Bergerac nascosto nella provincia modenese?
Non vi ruberò il piacere di scoprire le risposte. Posso invece anticipare (va bene, lo ammetto: le domande di ‘Ferrari, mio padre’ sono state stilate dall’autore di questo sgangherato blog: siamo o non siamo il paese del conflitto di interessi?) che la parte più affascinante del racconto di Piero è quella dedicata al papà, al genitore, all’uomo che in casa smette di essere il famoso costruttore di automobili. Il papà che non ha mai fatto un bagno di mare con il figlio, il papà che non ha mai messo piede su un aereo perchè se la faceva sotto dalla paura, il papà che non entrava in un ascensore perchè soffriva di claustrofobia, il papà che detesta la velocità se riguarda il figlio e invece di un motorino insiste per regalargli una bicicletta, il papà che resta sempre tale anche se ha un’altra famiglia e frequenta più di una donna…
Io voglio bene a Piero Ferrari non per il cognome che porta, ma perchè è una bella persona, un modello di educazione in un’Italia dominata dalla volgarità. E questo libro conferma, una volta di più, lo stile dell’uomo.