Su Enzo Ferrari è stato scritto di tutto e di più. Tra gli italiani del Novecento in pochi hanno contribuito quanto lui a riempire gli scaffali delle librerie:nel mio piccolo, a suo tempo ho contribuito anche io alla proliferazione letteraria sul soggetto.
Magari penserete che il troppo stroppia e forse avete un briciolo di ragione: eppure, alla sterminata pubblicistica sulla vita del Drake di Maranello, sui suoi pregi e sui suoi difetti, qualcosa mancava. Mancava il racconto, in presa diretta, dell’unico erede. Perchè è inutile girarci attorno: noi biografi possiamo essere scarsi oppure bravissimi, non importa: saremo sempre in una oggettiva condizione di inferiorità rispetto a chi ha trascorso un pezzo di vita accanto al Personaggio, conoscendolo non tanto nella celebratissima dimensione esterna, quanto piuttosto nella identità intima, privata. Unica.
Insomma, Piero Ferrari ha colmato un vuoto. Ed è stato coraggioso, nel dare alle stampe il suo ‘Ferrari, mio padre’ (editore Aliberti): spesso ci sono, nella esistenza della tua famiglia, cose che preferiresti evitare, dribblare, tacere. Non sempre i ricordi segreti sono piacevoli e non necessariamente corrispondono al mito, alla figura alimentata dalla leggenda.
Piero, oggi vicepresidente della azienda che porta il suo nome, ha avuto la forza di non eludere le domande scomode: ha scelto, con garbo, la strada della confessione sobria e però non priva di effetti a sorpresa.
Esempi? Tanti. Non tutti sapranno, per dire, che nel 1982, all’indomani della lite di Imola tra Villeneuve e Pironi, il Vecchio non prese affatto le difese dello sconvolto canadese: anzi, in buona sostanza giustificò il comportamento del francese. E lo giustificò perchè Ferrari sapeva che Gilles aveva ormai deciso di lasciare il Cavalino, alla fine della stagione: dunque, non meritava trattamenti di favore. Seguì Zolder, l’epilogo tragico di una favola spezzata.
E ancora. Lauda si ritirò nel diluvio del Fuji, buttando un mondiale alle ortiche, non per un attacco di fifa blu, ma in omaggio ad un calcolo che si rivelò clamorosamente sbagliato: era convinto, l’austriaco, che tutti i suoi colleghi si sarebbero ritirati, causa diluvio. Per una volta lui, il ragionier Niki, rimase fregato dalla sua proverbiale furbizia.
Le candide memorie di Piero accendono fari su angoli di storia dell’automobilismo: come nacque la relazione speciale tra suo padre e Mauro Forghieri? E cosa determinò un divorzio che, con il senno di poi, venne emblematicamente a segnare la conclusione di un’epoca? Come mai uno sbarbatello come Luca Cordero di Montezemolo arrivò giovanissimo al timone del Reparto Corse? Da chi era raccomandato? E’ vero che i famosi libri del Drake, da ‘Le mie gioie terribili’ fino a ‘Piloti che gente’ in realtà li ha scritti Franco Gozzi, un Cyrano de Bergerac nascosto nella provincia modenese?
Non vi ruberò il piacere di scoprire le risposte. Posso invece anticipare (va bene, lo ammetto: le domande di ‘Ferrari, mio padre’ sono state stilate dall’autore di questo sgangherato blog: siamo o non siamo il paese del conflitto di interessi?) che la parte più affascinante del racconto di Piero è quella dedicata al papà, al genitore, all’uomo che in casa smette di essere il famoso costruttore di automobili. Il papà che non ha mai fatto un bagno di mare con il figlio, il papà che non ha mai messo piede su un aereo perchè se la faceva sotto dalla paura, il papà che non entrava in un ascensore perchè soffriva di claustrofobia, il papà che detesta la velocità se riguarda il figlio e invece di un motorino insiste per regalargli una bicicletta, il papà che resta sempre tale anche se ha un’altra famiglia e frequenta più di una donna…
Io voglio bene a Piero Ferrari non per il cognome che porta, ma perchè è una bella persona, un modello di educazione in un’Italia dominata dalla volgarità. E questo libro conferma, una volta di più, lo stile dell’uomo.