Profili: Boris Becker, il più grande tedesco di sempre

 
24 Gennaio 2007 Articolo di Gianluca Comuniello
Author mug

Love him or leave him.

Boris Becker si incammina al fianco del giovane atleta che lo ha appena dominato, ma invece di tenere la sua sacca con le racchette sulle spalle ed imboccare la porta verde per entrare definitivamente nella memoria si ferma, lascia la sua sacca, e alza le braccia sopra la sua testa, per salutare per l’ultima volta la folla del Campo Centrale(Herald Tribune Sports- 1 luglio 1999).

Così, era il 30 giugno 1999, Boris Becker, colui che aveva violentato il tennis e lo aveva definitivamente fatto uscire dagli anni Settanta, colui che era stato il più giovane campione di Wimbledon nel 1985, dava il suo addio al tennis. E lo poteva fare solo nel luogo che più di tutti faceva rima con il suo nome, il Campo Centrale di Wimbledon. Prima delle ere Sampras e Federer, subito dopo l’era Mcenroe, era stato il campione tedesco l’uomo che più aveva legato il suo nome ai Championship. Uomo, parola scelta non a caso, perché vincere a 17 anni Wimbledon ti offre tanti benefici, una vita dorata, ma ti costringe anche a fare in fretta a diventare un uomo. Leggiamo dalle parole di Ubaldo, scritte nel 1995 alla vigilia dell’ennesima partecipazione del campione tedesco al torneo di Milano.

Boris Becker non ha mai conosciuto vere crisi perché anche quando le sue doti tennistiche sembravano appannarsi la sua capacità di non dire mai cose banali l’ha sempre tenuto su.
Anche se ha vissuto, lui pure, momenti difficili: “A 17 anni la mia vita cambiò completamente, tante volte mi sarebbe piaciuto potermi ricavare un angolino nascosto agli occhi di tutti, ma era impossibile. Era come se all’improvviso mi avessero buttato in mare: non avevo alternative che imparare a nuotare. Non sono andato mai a fondo, ma ho dovuto ingoiare anche tanta acqua. Dove cammino, dove mangio, la gente mi punta con il dito, e non soltanto i giapponesi scattano foto di soppiatto. E’ quella la parte più dura da sopportare, l’assenza di privacy: se non fosse per quello stress potrei giocare fino a 40 anni. Ancora oggi la gente fa fatica ad accettarmi per quel che sono, per un uomo che ha più di 27 anni, che é sposato, che ha un figlio, che non ha più il tennis in cima ai suoi interessi anche se il tennis e lo sport sono cose che amo: la gente mi incontra e mi chiama per nome, Boris, come se mi conoscesse, mi parla come se fossi ancora un ragazzino. Molti tennisti giocano e si esprimono come se il mondo avesse una dimensione sola, io vedo le cose in modo diverso. Questo non significa che io sia migliore o peggiore, sono semplicemente diverso”.

Un campione diverso dagli altri, in campo e fuori, Boris lo è sempre stato. In campo: quando stupì il mondo la prima volta nel 1985, una delle cose che strappavano boati di ammirazione erano le sue acrobazie sotto rete, i tuffi senza curarsi se sarebbe atterrato su erba, terra o cemento. Il suo servizio: primo forse fra coloro che ne hanno fatto un’arma definitiva. Ma anche fuori campo, con le sue scelte controcorrente. Prima fra tutte quella del suo matrimonio con Barbara, osteggiato da chi in Germania ancora guardava ad un passato vergognoso. Era un giocatore che amavi od odiavi, ma non ti lasciava indifferente. Fra il 1985 e il 1989 vince quattro slam. Nel 1991, dopo la vittoria agli Australian Open diventa numero 1. Quel giorno stesso sembra iniziare il declino. Fa semifinale al Roland Garros, ma viene preso a pallate da Agassi, anche perché si ostina a giocare dal fondo. Fa finale a Wimbledon, ma viene battuto pesante dal connazionale Stich (forse la sconfitta peggiore per l’orgoglio). Non vince più negli Slam e il 1992 va anche peggio. Finché…

MASTERS 1992
FRANCOFORTE _ Era entrato al Masters per il rotto della cuffia, sarebbe più giusto dire all’ultimo tuffo considerando quella sua “specialità” sottorete che ha messo ko Ivanisevic in semifinale, ma ne è uscito da trionfatore.
Boris Becker ha battuto, dopo Korda, Edberg e Ivanisevic, anche il n.1 del mondo Jim Courier, per la sesta volta consecutiva e per tre set a zero. Davvero il modo migliore per festeggiare il suo venticinquesimo compleanno, al termine di una stagione davvero non esaltante nonostante i quattro tornei vinti nel ‘92 (Bruxelles, Rotterdam, Basilea e Parigi-Bercy), tutti indoor come del resto anche il Masters.
Grazie ai punti conquistati a Francoforte Becker risale dal settimo al quinto posto mondiale, ma come ha detto lui stesso: “Stasera mi sento il n.1, ho battuto davvero tutti”.
Proprio tutti no, perché il suo primo match Becker lo aveva perso nel girone eliminatorio dal campione uscente Sampras, ma certo il Becker che abbiamo visto nei giorni successivi vale ben più del quinto posto.
“Ho giocato come forse mai nella mia carriera” ha detto ancora il tedesco che fa dimenticare ai suoi connazionali perfino i problemi legati alla recessione (noi italiani non abbiamo neppure quella consolazione tennistica), e che ha vinto il suo secondo Masters dopo quello dell’88. Anche quella volta, a New York, non era riuscito ad evitare una sconfitta, con Edberg. Ma sono le sconfitte migliori, non lasciano il segno.
L’ultima grande vittoria di Becker, sempre eliminato prima delle semifinali quest’anno nei tornei dello Slam, era giunta all’open d’Australia 1991, quasi due anni fa, quando era poi diventato n.1 del mondo.
Quest’anno Boris si era ritrovato addirittura al decimo posto in autunno, il posto più basso da quando aveva stupito il mondo vincendo a 17 anni (1985) il primo Wimbledon. Soltanto due settimane prima del torneo di Parigi-Bercy, dove ha poi conquistato la qualificazione per il Masters, Becker era così demoralizzato _ lo ha detto lui _ da non saper trovare più gli stimoli per continuare a giocare a tennis. Un 6-1,6-1 patito ad Amburgo dal rivale e connazionale Stich lo aveva fatto precipitare nella più profonda depressione. Ma il suo nuovo coach Gunther Bresnik, e soprattutto il suo smisurato orgoglio, ce lo hanno restituito più forte di prima, per la gioia dei tedeschi ma anche di tutti coloro che amano il suo tennis coraggioso e spettacolare. Un vero Master.

Questo sussulto non gli eviterà di uscire alla fine del 1993, dai top 10, nei quali era stato ininterrottamente dal 1985. Sono i mesi della prima paternità, in cui, a sentire Ubaldo, “quello incinto sembrava lui”. Ma il campione era in agguato e così nel 1995, a dieci anni dal primo trionfo, torna in finale a Wimbledon, dove consegna definitivamente le chiavi del Campo Centrale a Sampras, con la sportività che solo i grandi orgogliosi sanno avere:

WIMBLEDON _ I riconoscimenti più importanti al valore di Sampras, come uomo e come tennista vengono dallo sconfitto, da Boris Becker, una volta re di Wimbledon ma che sa di non aver nulla da rimproverarsi: “Purtroppo é lui adesso il padrone del “centre court” quello che é stato mio per qualche anno: ora decisamente appartiene a lui. Fra tutti i giocatori che conosco.. .well, Pete é probabilmente uno dei miei migliori amici. E’ davvero un bravo ragazzo: sul campo non dice mai niente, non mostra emozioni e forse é anche per quello che gioca così bene. Non permette che niente lo disturbi. E così si spiega com’é che riesce a prendere 45 volte la riga con la prima battuta. Per questo ho fatto quella scenetta, tappandomi gli occhi all’ennesimo ace: che io li tenessi chiusi oppure aperti era esattamente la stessa cosa. Forse bisognerebbe essere tutti così…Ma conosco ormai Pete da parecchi anni e anche fuori dal campo è davvero un bravo ragazzo, ve l’assicuro. Molta gente parla di Andre Agassi come di un modello da imitare ma se c’è uno da imitare _ e pare di sentire Ivan Lendl che diceva le stesse cose _ questi è proprio Pete: anche tennisticamente non ha un solo punto debole, un colpo che sia brutto”.
“Sono passati 10 anni dalla mia prima finale, ma sembrano passati 25…però a 27 anni uno non é vecchio, fino a 30 posso sperare di vincere un titolo dello Slam. Mia sorella Sabine (che soffriva in tribuna come nessuno) é più giovane di me? Vi sbagliate, fate un complimento a lei, ma non a me. Che differenza c’é fra McEnroe e Sampras? La potenza. Sono contento di aver potuto giocare contro tutti e due, ma mentre il servizio di Pete quando entra é ingiocabile a quello di Mac si poteva rispondere. Oggi Pete mi ha leteralmente bombardato per quattro set, non mi ha dato chances, potevo solo sperare che piovesse. Il suo servizio non si legge: si lancia la palla bassa, può batterti con lo stesso movimento sul dritto come sul rovescio. E quando ha fiducia spara anche la seconda: mi ha fatto degli aces anche con quella. Delle quattro finali che ho perso questa é quella in cui ho meno rimpianti. Non potevo fare nulla, per me Pete é il vero n.1 del mondo”. E detta da uno che aveva battuto Agassi non la si può liquidare come una dichiarazione infondata.

L’orgoglio del vecchio leone, soprannome che a lui non piaceva, ma che tutti ormai già nel 1995 gli avevano affibbiato (a soli 27 anni!) lo porterà di nuovo, nel gennaio successivo, a conquistare uno Slam…

…in questo primo scorcio di ‘96, e’ accaduto un avvenimento non da poco perfino nella vita cosi’ ricca ed intensa di momenti salienti, di vittorie entusiasmanti per Boris: il trionfo in un torneo dello Slam, all’ultimo open d’Australia.
Un trionfo, il sesto in carriera, che lui stesso a digiuno di Grandi Titoli dal ‘91 dubitava di poter celebrare. E forse e’ vero che non l’avrebbe mai celebrato se la sua Barbara non avesse stimolato il suo orgoglio (un po’ come quelle mogli che spingono il marito impigrito a far carriera) e non avesse insistentemente stuzzicato la sua vanita’ ripetendogli in continazione: “Vincine almeno uno per me. Quando vincevi gli altri io non ero ancora al tuo fianco, e del piccolo Noah Gabriel non v’era ancora traccia”.
Usciti di scena a Flinders Park i primi due favoriti, Sampras e Agassi, come gia’ all’ultimo Masters ATP Boris ne ha approfittato nel piu’ convincente dei modi spengendo le illusioni di Michelino Chang, il terzo americano che cerca sempre (ma invano) di godere al posto dei due litiganti. Una volta batte uno, una volta l’altro, ma poi arriva Boris il vendicatore e Michelino resta con un palmo di naso.
Ma prima di arrivare a Chang Boris a Melbourne aveva percorso quasi una “via crucis”, rimontando uno svantaggio di due set a uno a Rusedski, di due set a zero con break nel terzo a Johansson, prima di immettersi nel rettilineo finale dove i vari Larsson, Steven, Kafelnikov, Woodforde e Chang sono stati superati in tromba senza che riuscissero nemmeno a veder sventolare la bandiera a scacchi.

Sarà l’ultimo acuto vincente. Altri due acuti, uno perdente ed uno sfortunato, si avranno in quello stesso 1996. Quello perdente: la splendida finale del master di Hannover contro Sampras, il “più perfetto” tennis indoor mai giocato. Quello sfortunato: Wimbledon 1996. Quell’anno Sampras si fece sorprendere ai quarti da Kraijcek, poi vincitore. Boris si era presentato in splendida forma, ma un infortunio al polso, stupido ed inaspettato, lo tolse dalla corsa, in quello che poteva essere il suo quarto Wimbledon ad undici anni di distanza dal primo. Ma in fondo lui stesso aveva deciso che quella ormai era casa di Sampras. E non era uno che potevi distogliere da una decisione: come quella di tirare la seconda di servizio a 180 all’ora sul matchpoint a Montecarlo 1995 contro Muster.
Love him or leave him. Boris Becker.

PARIGI _ Adieux Boris. E’ uscito dal palasport di Bercy, e da un torneo che aveva vinto 3 volte disputando 5 finali, fra le ovazioni del pubblico e con le braccia levate al cielo per ringraziarlo, quasi fosse stato lui a battere Sampras e non viceversa (7-6,3-6,6-3).
Qualche minuto prima del suo dignitosissimo canto del cigno in terra francese Boris Becker aveva dimostrato quanto ci tenesse ancora a vincere contro il n.1 del mondo dando fuori di matto per un’errata chiamata d’un giudice di linea che gli é costato l’unico break del match, nel secondo game del terzo set. Urla belluine, fino a mettersi in ginocchio a sacramentare e non senza sbattere violentemente la racchetta per terra.
“L’arbitro é stato sin troppo carino con me, avrebbe dovuto ammonirmi…_ ammetteva Boris per poi aggiungere _ perç con queste regole un McEnroe non sarebbe mai nato! Giocasse oggi verrebbe sospeso per sei mesi ad ogni partita. Idem per Connors e Lendl. Discutere con gli arbitri, mostrare a tutti le proprie emozioni era consentito. E gli spettatori adoravano quei campioni così umani, partecipavano con assai più entusiasmo a quel che accadeva sul campo. Oggi devi sempre stare zitto. L’arbitro é là a guardare l’orologio dei 25 secondi, fra un punto e l’altro, e i giovani che si avvicinano al tennis sono costretti a comportarsi come macchine, a mascherare ogni segno di debolezza. La gente, però, adora uno spettacolo… e per averlo hai bisogno di attori, di giocatori capaci di sorridere, di arrabbiarsi, di gridare, di far qualcosa. Non di robot. Certo, qualche limite ci vuole, ma siamo andati troppo oltre (tutto, come il famoso Code of Conduct, nacque per le prime intemperanze di Ilie Nastase, di Jimmy Connors, istrioni, maleducati quanto si vuole, ma impareggiabili showmen…n.d.r) e non c’é più spazio per un tenni umano. E’ un peccato perché il tennis _ e lo dice uno sul punto di ritirarsi _ é uno sport bellissimo. Oggi Sampras é lassù, su quella vetta dove sono stato anch’io, e si gode un bellissimo panorama. Ma sono io a lasciare il tennis, mentre sono ancora competitivo, e non il tennis a lasciare me. Non giocherò fra i senior over 35: o gioco per la corona o non gioco”.
Adieux roi Boris, non ci mancherà soltanto il tuo tennis.

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