Brad Gilbert cicero pro domo sua
Vuole i coach sul campo come in Davis
Federer “talebano” non è d’accordo
Perchè la penso come Roger

 
17 Febbraio 2007 Articolo di Ubaldo Scanagatta
Author mug

A Brad Gilbert non basta guadagnare 1 milione e 400.000 dollari, pagati dalla LTA, la federazione inglese per lo….scozzese Andy Murray. Poiché Agassi e Roddick non gliene hanno dato abbastanza, vorrebbe maggior visibilità. Per sé…anche se lo maschera alla grande. Ufficialmente non la chiede per sé, naturalmente, bensì per i suoi colleghi. Che si preoccupi di creare nuovi posti di lavoro? Oggi con la tv che dà celebrità e notorietà a chiunque metta il faccione in video a prescindere dalle qualità (vedi Grande Fratello e vari reality…) probabilmente molti coach anonimi doventerebbero per incanto volti noti. Ma Gilbert non è così stupido da dir tutta la verità, tutto quel che pensa…Lui è quello che ha scritto Winning Ugly, non dimentichiamolo. Così dice di parlare in generale, ne fa quasi una questione di…discriminazione sessuale alla rovescia.
“Se le donne hanno accettato il principio del coach in campo alla fine di ciascun set perché noi maschi no? Ci fu un tentativo nel 1998, ma naufragò…”
Gilbert sottolinea che “fatta eccezione per la Coppa Davis dove il capitano siede a fianco del giocatore ad ogni cambio di campo, il tennis è uno dei pochi sport che non consente un contatto (ufficialmente…che i segni se li sono sempre fatti! N.d.ubs) fra i giocatori ed un coach. I puristi dicono che è sempre stato così, ma allora perché in Davis il coach deve essere ammesso e nei tornei no? L’Hawk-Eye è stata una grande innovazione, una delle modifiche più indovinate in tempi recenti e per me il coach in campo dovrebbe essere il prossimo passo in quella stessa direzione”.
Fra i…puristi, come li chiama Gilbert, c’è un certo Roger Federer, contrario un po’ a tutto, all’Hawk Eye (sebbene poi quando se ne serva non si sbagli mai: si è visto all’Australian Open), ai Round Robin (Deo Gratias) e anche al coach in campo : “Non ne abbiamo bisogno (chi più di lui può dirlo? Probabilmente perfino l’umile Tony Roche la pensa così…), se siamo l’unico sport a non averne bisogno….meglio così. Ai fans proprio non credo che importi…”. Un vero talebano, il nostro Roger.
Gilbert, sapendo di toccare un tasto caro a de Villiers, il boss dell’Atp, dice invece: “Bisogna innovare, non restare indietro. Se si possono riempire cinque minuti (a colpi di un minuto e mezzo al cambio di campo almeno all’inizio di ogni set…) di spazio televisivo con i colloqui tecnici fra il coach e il giocatore, sarà interessante anche per gli spettatori…ed è giusto che anche i consigli dei coach, magari sbagliati, possano venir messi in discussione”.
Personalmente io ritengo: a) i coach imparebbero a dare consigli…poco compromettenti (quindi meno sinceri) per non essere poi esposti al pubblico ludibrio b) i giocatori non confesserebbero mai una vera defaillance, fisica o psicologica, per il timore che qualcuno possa riferirle agli avversari (del momento o anche dell’indomani) c) qualche coach, un tipo sveglio come Gilbert ad esempio, non perderebbero l’opportunità di fare un po’ di show per tirare l’acqua al proprio mulino d) un coach che si esprimesse bene guadagnerebbe molto in considerazione rispetto ad un altro coach che invece fosse magari anche più preparato ma non sapesse usare il dizionario altrettanto bene e) un coach che volesse tirare uno “schiaffo” psicologico al proprio giocatore per risvegliarlo dal torpore, magari anche scuotendolo pesantemente, verrebbe condizionato dalla presenza delle telecamere e di un microfono aperto. Insomma, se non l’aveste capito, sono totalmente contrario all’idea di Gilbert. Sono un purista anch’io, alla Federer! Forse di più…salvo che per l’Occhio di Falco che soprattutto negli incontri di Coppa Davis si è rivelato strumento eccellente, oltre che ottimo deterrente per i giudici di linea affetti da miopia… patriottica. A differenza di Federer, che è il coach di se stesso e potrebbe godere di un vantaggio (dovuto alla sua sagacia e sapienza tennistica) nel fatto che un avversario caprone non possa essere consigliato da un saggio, io non ho vantaggi di sorta nell’esprimere la mia…purezza. Con questo non voglio assolutamente dire, sia chiaro, che Roger parla pro domo sua. E’ davvero un puro, ne sono convinto, e anche quando dice no alla Davis lo dice perché è comunque anche lui un figlio del suo tempo.
Quanto al fatto che le donne abbiano invece deciso di farlo…beh, ma non si è sempre detto che le donne hanno bisogno soprattutto di assistenza morale e psicologica, più che tecnica, tant’è che hanno spesso per coach mamme, papà, sorelle? L’ho scritto anche nell’ultimo numero di Matchpoint.

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15 Commenti a “Brad Gilbert cicero pro domo sua
Vuole i coach sul campo come in Davis
Federer “talebano” non è d’accordo
Perchè la penso come Roger”

  1. stefano grazia scrive:

    La bellezza del tennis risiede proprio nella sua unicità: nel fatto che dentro il campo bello o brutto,ricco o povero,colto o ignorante,intelligente o stupido,”it’s just me and you,baby,me and you” come diceva Pancho Segura( e se vogliamo anche nel fatto che una partita non sia mai finita prima che venga realizzato il match point…perchè prima o poi cercheranno anche di proporre dei match a tempo). Quello che dice Ubaldo è giustissimo e condivisibile. Aggiungerei in più che si darebbe un vantaggio al giocatore già ricco e affermato che il coach se lo può permettere rispetto al journeyman di turno che il coach non ce l’ha o magari lo divide con il suo avversario del giorno…(che succedeva se la Sciavone incontrava la santangelo mentre era allenata da Coppo?)
    A parte ciò non sarei così sprezzante con Gilbert: a me sta simpatico,è stato numero 4 al mondo,è stato un leale coach di Agassi,e con Roddick e Murray ha fatto un ottimo lavoro,e i suoi due libri sono piacevoli da leggere (per via dell’aneddotica e del suo stile quasi slang-ovvio,merito dei ghost writer). Teniamolo a bordo campo, ma non manchiamo di riconoscergli che è un buon allenatore (anche se è vero, una cosa è allenare una star,un’altra è tirare su dal niente un ragazzino)

  2. anto scrive:

    Non sono assolutamente d’accordo con i coach in campo, credo che il bello del tennis risieda nel fatto che sei da solo contro il tuo avversario, e non hai possibilità di farti aiutare nei momenti difficili del match. Devi combattere due battaglie oltre che contro il tuo avversario anche con te stesso. Credo che poi ci sarebbero atleti di serie A e seric B. Atleti di serie A perchè in possesso di disponibilità economica e di conseguenza con la possibilità di farsi assistere dal proprio coach anche nei tornei più lontani dalla propri sede, ed atleti di serie B, i quali non avendo disponibilità, non potrebbero permettersi di avere al proprio angolo il loro coach. A questo proposito nei prossimi giorni ti invierò un’intervista esclusiva di coach Bonaiti, che permetterà di capire e di conoscere il mondo italiano del coaching. Ho l’impressione caro Ubaldo, sentendo anche i commenti di persone che ti leggono e che non ti scrivono per timidezza o pigrizia, che il tuo blog stia sempre più migliorando qualitativamente, stai fornendo un ottimo servizio agli appassionati, e questo credo che te ne siamo tutti infinitamente grati. Hai la capacità di dare spazio anche ad altre voci, e questo in un mondo fatto di egoismi e gelosie, dove viene dato poco spazio alle persone fuori dal coro, è una grandissima cosa. Bravo Ubaldo.

  3. marino scrive:

    mah…
    credo si debba mettere un freno un po’ dappertutto.
    non voglio sposare l’atteggiamento integralista di federer, che tanto stimo, ma, effettivamente, davvero c’è bisogno di un coach in campo?
    e che ne sarebbe di quei “poveri” comprimari del circo tennistico, che un coach se lo sognano o se lo condividono con altri?
    in merito a hawk-eye, io credo che sia una simulazione poco ttendibile del segno della palla. sono stato arbitro federale, un poco, l’occhio, l’ho allenato: palle che a occhio nudo si vedono fuori di molto poi al replay di hawk-eye sembra che a malapena sfiorano la riga (o viceversa). e grillotti ne sa qualcosa.
    la vera riforma nel tennis secondo me passa attraverso una migliore distribuzione dei tornei nell’arco dei 12 mesi e una minore ingerenza di manager dello spettacolo.
    a meno che io non stia impazzendo (il che è molto probabile) il tennis piace per com’è così da sempre: dietro quale dito ci stiamo nascondendo?

  4. marcos scrive:

    per una volta, caro ubaldo, pur condividendo le tue critiche al metodo di gilbert, non sono con te daccordo nel merito.
    in ogni match, quasi sempre, vengono inquadrati giocatori ed allenatori che si parlano con segnali di fumo, simboli per audiolesi, alfabeti segreti inventati a bella posta, smorfie beluine, tic autocomandati, cappellini con visiera avanti o dietro…mancano rutti e starnuti e poi siamo a posto.
    per evitare queste ipocrisie (compresa quella dell’arbitro che fa finta di non accorgersi), prendendo atto di quel che succede nella normalità, si adeguino le regole a ciò che succede. lo fa il governo coi dico…e dico io, non deve farlo l’atp con gli allenatori?

    più gente lavora in chiaro, meglio è!

    ciao,

    marcos

  5. Fabio F. scrive:

    Brad Gilbert è stato un ottimo giocatore (anche perchè perdeva sempre da lendl….) ,capace di trarre il 150% dai suoi mezzi, e un grandisismo coach ,che sta ben lavorando anche col (difficile,ribelle) carattere di Murray.Prima di lavorare con Andy, ben convinto dalla faraonica retribuzione della federazione britannica, aveva detto che non gli sarebbe spiaciuto allenare Nadal.
    Innamorato di sè stesso (quanto ama parlare,apparire….) e anche buon manager,è innegabile come diverrebbe protagonista dei match se si verificasse la possibilità che auspica. Possibilità da rifuggire in toto. Spoos in questo caso l’atteggiamento risolutamente conservatore di Roger Federer. Altre sono le modifiche da apportare al tennis.

    Occorre ristrutturare meglio i calendari, tornare a valutare la media dei risultati annuali per evitare le farsesche rinuncie viste,per dire, a Bercy gli ultimi anni, dare spazio a superfici diverse dal cemento, tenere in maggiore conto il Sudamerica e il centro Europa (perchè non assegnare il master,invece che a Londra, a Vienna o Berlino? chi si ricorda come ernao beli i master a Francoforte ed hannover?) nell’assegnazione dei tornei,introdurre un Master finale a 16 giocatori,senza round robin e tre su cinque.

    altro che Coaching.

  6. angelica scrive:

    Io sono d’accordo con Ubaldo e gli altri che hanno gia’ scritto: il coach in campo non aggiunge niente alla bellezza del tennis. E poi la Coppa Davis e’ diversa in tutto dal normale torneo. Curioso che ci si ricordi della Davis Cup solo quando a qualcuno fa comodo :/
    Non ricordo in quale torneo Mara Santangelo chiede di parlare con il coach, i consigli di Coppo furono ‘non c’e’ molto che devi fare, solo giocare il tuo tennis’. E’ vero, le donne hanno bisgono piu’ di un aiuto psicologico che tecnico.
    Una curiosità:
    a Tokyo
    Sugihyma-Kirilenco 63 per la giapponese che chiede di parlare con il coach, perdere l’incontro 36 62 61
    a Parigi
    Medina Garrigues-Chakvetdze, 64 per la spagnola che chiede il coach in campo, perde l’incontro 46 64 64
    Mauresmo-Petrova, amelie vince 75 anche qui coach in campo e anche lei perde 57 64 76.
    Ma se stai vincedo, ma che lo chiami a fare il coach ?!

  7. Ubaldo Scanagatta scrive:

    A Marcos che qui mi pare l’unico ad andar controcorrente (la mia corrente, almeno…): sul coaching io ho sottolineato soprattutto che, poichè Gilbert diceva che sarebbe servito a coprire 5 minuti di spazio tv, secondo me l’idea di mandare in tv il colloquio eventuale fra coach e giocatore non è buona, per i motivi che ho sottolineato. Per il resto, fermo restando la disparità di trattamento fra chi ce l’ha (perchè magari può permetterselo e quindi presumibilmente oltre che più ricco ha forse anche vinto di più, salvo che dipènda dal portafogli di papà) e chi non ce l’ha _ che potrebbe in teoria allargare ancor di più il gap fra un “favorito” ben classificato e un outsider _ chissà forse un’idea che nessuno ha ancora avanzato _ forse perchè peregrina, ammetto non ci ho riflettuto…ormai chi ne ha più il tempo, si pensa scrivendo, osi scrive pensando in diretta _ potrebbe essere quella di permettere ai giocatori coinvolti in un match di decidere di volta in volta se permettersi reciprocamente l’uso del coach o no. Per chi sta fuori, per noi, media, appassionati, sarebbe tutto sommato divertente registrare i diversi comportamenti. Quello che ha massima fiducia in se stesso e non nell’apporto dei coach, l’insicuro che preferirebbe avere sempre il proprio coach da poter consultare (ed è quello che lo guuarda comunque ad ogni punto vinto o perduto), il “calcolatore” che sapendo che l’avversario èappunto insicuro vuole negargli quell’appoggio, lo stratega cinico che pensando che quello specifico coach dell’avversario sia migliore del proprio preferisce fare a meno di entrambi, il tennista timido che non si sente di negare all’avversario l’apporto del coach per non inimicarselo, il connazionale, partner di doppio e di squadrea che si comporta…come il timido…. Mah, non so nemmeno io se è una sciocchezza, ma m’è venuta così! E nei blog non si dice un po’ di tutto, mica si deve ogni volta (ehm ehm…non prendetemi sul serio) dire cose geniali! Fabio…non mi dire più che si devono ristrutturare i calendari. e’ una vita che lo sento dire, una vita che lo scrivo io, una vita che lo dicono tutti, poi però gli interessi delle varie sigle, ma anche dei manager, degli sponsor, dei top-20, contribuiscono tutti insieme a far sì che le modifiche auspicate non avvengano mai.

  8. Giuseppe C. scrive:

    Innanzitutto complimenti per questo splendido blog dove si approfondiscono aspetti e curiosità del tennis che spesso sfuggono in altri lidi.
    Quanto alla questione del coach in campo, io che di solito sono un tradizionalista, non sarei troppo contrario. Credo che tutte le fondatissime obiezioni mosse da Scanagatta verrebbero meno se il coach venisse sì ammesso, ma a microfoni spenti (anche se la cosa a De Villiers piacerebbe meno).
    Io ritengo che se qualche giocatore potrebbe giovarsi dei consigli di un tecnico (o di un confidente, di qualcuno con cui sfogarsi) non ci sarebbe nulla di male, perché ben venga ogni soluzione che consenta a ciascuno di esprimesi al meglio. Ad esempio, mi domando se uno come Paolino Canè (che non a caso ha dato il meglio in Davis) non avrebbe potuto avere un’altra carriera con qualcuno al suo fianco.

    Saluti a tutti ed ancora complimenti ad Ubaldo

  9. Fabio F. scrive:

    Ubaldo, il fatto che di proposito lo impediscano non impedisce comunque di poter dire che sia una realtà sbagliata. Troppo poco spazio tra l’ Australian e il 1°t di davis, Tra parigi e Londra ( e qui è da sempre cosa ridicola), Indian Wells tenuto su grazie alle amicizie di Pasarell a discapito del sudamerica che meriterebbe Almeno 1 Ms. ..
    Ma forse hai ragione, inutile scrivere di qualcosa che anche in caso di contestazioni in massa non muterebbe.

    Cosa pensi del master a Londra, come pare possibile? a me parrebbe ingiusto dare un terzo torneo ad una città che già ha Wimbledon e Queen’s. Escludendo parigi per lo stesso motivo, io lo assegnerei,ripeto, ad una città dell’ Europa centrale.

  10. Ubaldo Scanagatta scrive:

    Con Giuseppe condivido diverse osservazioni, compresa quella che il coach andrebbe semmai utilizzato a microfoni spenti come ho già avuto modo di spiegare. Ma soprattutto sono d’accordo sul fatto che Cane con un consigliere al fianco avrebbe ottenuto ben altri risultati: lo dimostrano certe sue performances in Coppa Davis e ricordo benissimo, ad esempio, che a Prato contro Penrfors dopo un inizio tatticamente sbagliato fu rimesso in carreggiate da Panatta, allora capitano e secondo me un capitano davvero eccellente (e lo scrive uno che invece lo ha spesso criticato come dirigente), e Paolino vinse una gran partita. Anche Camporese era molto più forte con Panatta al fianco (vedi con Moya a Pesaro…) e in Davis ha ottenuto risultati migliori che da solo, penso al match di Dortmund contro Stich (che quell’anno, nel ‘91, vinse poi Wimbledon) e anche a quelli di Cagliari contro gli svedesi. Chissà se a Wimbledon, quando Paolino giocò un match straordinario contro Lendl (e Paolino sull’erba chissà perchè non voleva mai andare…) non avrebbe finitoepr vincere se avesse potuto scambiare due parole con qualcuno…
    Detto tutto questo, però, è anche giusto domandarsi: ma se un giocatore è più bravo di un altro a gestirsi, ad organizzare la propria tattica di gioco, a mantenere il controllo dei nervi, non è giusto che batta l’avversario che quelle qualità non ha?
    O è giusto invece, come nel quiz del milionario (dove però non si gioca direttamente contro un altro), che si possa ricorrere di tanto in tanto all’aiuto…del pubblico e di qualche consigliere fidato? Il punto è tutto lì e almeno io risposte definitive forse non le ho, anche se tenderei a voler premiare chi…fa tutto da sè. Alla Federer. Essere intelligenti, interpretare il match, capire rapidamente i pnti deboli dell’avversario (senza l’aiuto di un Tiriac che si tocca i baffi per dirti di giocare sul rovescio, di un Pato Alvarez che toccandosi il mento ti ricorda che è meglio mettere la prima piuttosto che tentare sempre l’ace che non entra) non è come avere un colpo migliore di un altro? Se poi uno, prima di scendere in campo studia gli avversari con qualche esperto, beh anche questa professionalità, quell’impegno va premiato…esattamente come uno studente che oltre a prepararsi sul libro di testo approfondisce l’argomento di esame su un altro libro per saperne di più e cogliere dettagli altrimenti sconosciuti.
    a Fabio dico che sì, certo quelle modifiche andrebbero fatte, ma se ad esempio in Australia l’open viene organizzato a ridosso del Natale perchè in quel period ci sono le vacanze scolastiche e migliaia di volontari possono essere impiegati più facilmente_ e anche i genitori sono più liberi… e anche i biglietti si vendono più facilmente…e anche il clima è migliore _ si ha un bel dire che sarebbe più giusto ospitarli a marzo, ma non accadrà mai.
    Riguardo al Masters di Londra…è un problema economico, il Masters è un investimento colossale, dove il montepremi multimlionario è una goccia d’acqua nel resto delle spese. Quindi bisogna vedere chi è in grado di affrontarla garantendo all’Atp più anni di svolgimento. Va considerato anche che una prova indoor ha un pubblico completamente diverso da quello di una prova outdoor: la gente che va a Bercy, ad esempio, non è quella che va al Roland Garros. E quella che va a Wimbledon non aveva nulla a che vedere con quella che andava al Benson&Hedges che infatti fallì…Non sono scelte facili, e a volte nemmeno una città di 10 milioni di abitanti garantisce un pubblico quotidiano di 20.000 persone ad un’arena sportiva. Quindi sì, bisognerebbe cercare di distribuire gli eventi in modo geopoliticamente più correct, ma l’importante è assicurare all’evento stesso la dignità che merita.

  11. stefano grazia scrive:

    it’s you and me,baby, just you and me… E poi più che di coach, mi sa che ci sia bisogno di psicologhi…Si dice tanto che Agassi perse il RG contro Courier perchè durante l’interruzione per pioggia il coach di Courier gli disse di giocare tre metri più indietro…MA VOGLIAMO VERAMENTE CREDERE CHE UN PROFESSIONISTA DI TENNIS NON CI ARRIVI DA SOLO? Se non ci arriva,merita di perdere…Il tennis è uno sport brutale proprio perchè fra gli sport non di contatto è il più violento,perchè impegna il fisico e la mente…lasciamolo così, anche se a me Gilbert piace. Se vogliono parlare nei 5′ di pubblicità, facciamoli parlare lo stesso: li intervista il Commentatore e sentiamo in diretta le loro perle di saggezza…A mio parere ci sarebbero molti divorzi a fine partita…

  12. angelica scrive:

    Io credo che il coach in campo non e’ qualcosa verso il tennista, e’ stato introdotto (cosi’ almeno dice la WTA) per andare incontro ai fans(?!) per renderli piu’ partecipi di quello che succede in campo (?!?!) e per rendere gli incontri piu’ avvinciente (?!?!?!)
    Ora se come dicono, e’ piu’ rivolto al pubblico televisivo (aggiungo io americano) e quindi a microfono aperti, ci sara’ anche l’obbligo di parlare in inglese?
    Perche’ a me telespettatrice, un coach che parla una lingua che non conosco che divertimento puo’ dare ?

  13. stefano grazia scrive:

    un occasione per studiarla?
    Va a finire che il Coaching a bordo campo è sponsorizzato dal Programma di Educazione…
    Just Kidding! Perfettamente d’accordo, su questo come su molte altre cose, con Angelica…Però il tennis, come il golf, è l’unico sport veramente globale e lo si voglia o no, l’inglese è il latino di 2000 anni fa…magari impararlo male non fa…le interviste di Jimbo Courier all’Aussie open erano spesso insospettabilmente divertenti, anzi: funny!

  14. angelica scrive:

    Grazie Stefano, comunque probabilmente non sono stat chiara: quello che intendevo dire e’ coach in campo con microfoni aperti :
    Volkov, che per adesso e’ ancora il coach di Safin, deve essere obbligato a parlare inglese con Marat oppure gli parla in russo?

  15. Stefano Grazia scrive:

    hai ragione tu, la proposta é davvero irrealizzabile (ovvero: in inglese Volkov direbbe una cosa e poi in Russo il contrario…)

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