Bonanni: “Prodi, tempo scaduto. Subito il tavolo su Welfare e sviluppo”

9 Marzo 2007

di Raffaele Marmo

ROMA — Il premier sostiene che l’avvio del «grande» tavolo su welfare e sviluppo «è solo un problema di calendario». Il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, ascolta l’ultimo avviso ai naviganti deldel presidente del Consiglio e scuote la testa. L’interesse è forte. Anche lo scetticismo, però. Non ci crede?
«Se è così, allora il premier ci dica anche quale è il giorno di inizio. Vorremmo che venisse fissato molto, molto vicino. Praticamente subito. In realtà, fino a oggi, non abbiamo visto nessun passo avanti concreto. Anzi. Dopo il vertice di Caserta, Prodi aveva spiegato che la priorità era la crescita. Adesso scopriamo che la priorità è diventata la legge elettorale. Ma così si prendono in giro i cittadini. E finisce per aumentare il distacco tra questa politica e i problemi reali della gente».

Come dire: altro che calendario, sono le divisioni nella maggioranza a provocare il ritardo?
«Io so che la vicenda sta diventando davvero kafkiana. Dicono che vogliono rilanciare la concertazione. Ma per fare gli accordi bisogna incontrarsi, sedersi intorno ad un tavolo, discutere. La concertazione non è uno slogan da usare quando ti fa più comodo. La concertazione è una politica che va praticata giorno per giorno».

Così non è stato fino a oggi?
«Un esempio concreto: abbiamo firmato nei mesi scorsi due memorandum con il governo, uno sul welfare e uno sul pubblico impiego. Il sindacato ha predisposto il suo documento unitario su tutte le questioni più importanti, sulle quali eravamo divisi. Noi siamo pronti. Ma il governo che fa? Prende tempo, aspettando non si capisce chi e che cosa».

Lei ha parlato di iniziative «forti» per sbloccare la situazione. A che cosa pensa?
«Ci sono diversi strumenti per far sentire la nostra voce. Non escluso il ricorso alla mobilitazione per convincere questo governo che la priorità rimane la crescita economica. Per noi l’agenda non cambia».

Siete pronti anche ad affrontare il tema delicato della riforma delle pensioni?
«Noi abbiamo detto che lo scalone va superato, ma senza toccare i coefficienti di calcolo della pensione. Uno scambio è improponibile. Per quanto ci riguarda, se si elimina lo scalone, siamo disponibili ad innalzare gradualmente l’età di pensionamento, con gli incentivi a rimanere, senza però penalizzazioni o altre corbellerie».

Sembra un paradosso. Il sindacato è pronto, il governo no? Ha ragione, dunque, il ministro Damiano a chiedere una voce unica prima di aprire il tavolo?
«Non mi pare che stiano cercando di fare chiarezza su niente. C’è nel governo, forse, chi ritiene che sia meglio trattare dopo le elezioni amministrative. Ma questo è un duplice errore. Primo perché si illudono di trovare più avanti un sindacato più disponibile, mentre è l’esatto contrario. Secondo perché l’accordo va fatto prima del varo del Documento di programmazione economica e finanziaria. La ripresa economica va rafforzata subito con provvedimenti adeguati di sostegno, altrimenti rischiamo di sprecare questa occasione propizia per dare una spinta alla produttività e, soprattutto, ai salari dei lavoratori».

La crescita dipende solo da un accordo sulla maggiore produttività?
«No. Dipende soprattutto da tre cose importanti: la prima è una redistribuzione mirata e selettiva delle entrate fiscali in più che si sono registrate l’anno scorso. Sono più di trenta miliardi di euro che devono servire ad alimentare gli incentivi fiscali alla contrattazione di secondo livello, la rivalutazione delle pensioni, il fondo per i non autosufficienti. La seconda cosa da fare è far partire subito gli investimenti in infrastrutture e servizi. Mi riferisco alla Tav, all’alta velocità per il Sud, ai rigassificatori, alla banda larga. La terza cosa è riformare il pubblico impiego, premiando il merito, ma separando la politica dalla gestione operativa. La politica deve controllare mentre i dirigenti hanno la responsabilità di far funzionare la pubblica amministrazione come una azienda. Chiediamo controlli «a valle» e non in corso d’opera: oggi la Corte dei conti e la Regioneria generale possono bloccare ogni atto, in qualsiasi momento, e non mi pare con molta chiarezza. E poi serve la formazione continua per i dipendenti pubblici e più informatica negli uffici».

Questo le sembra il modo per rispondere alla polemica sugli «statali fannulloni»?
«Guardi, quella campagna, ben orchestrata, aveva solo provocato irritazione tra di noi e nel pubblico impiego. Perché la Cisl da tempo stava lavorando per spingere anche i dipendenti pubblici in uno schema importante: un alveo contrattuale che valorizzasse merito e produttività. La Cisl non ha mai creduto che lo stipendio sia una variabile indipendente. Oggi finalmente, col memorandum firmato insieme a Cgil e Uil, non siamo più solo noi a dirlo».

Intende dire che siete riusciti a portare anche la Cgil su sponde più riformatrici?
«C’è stato un avanzamento importante, costruito con il dialogo paziente, senza finti ultimatum o primazie da parte di nessuno».

Ma cosa proponete in concreto per valorizzare merito e produttività degli statali?
«Una premessa: in ogni ambiente c’è chi non lavora. Alla Fiat, però, se le cose non vanno bene si cambia il management: e i risultati si vedono. Chissà perché, invece, se le cose non vanno bene nel pubblico impiego si dà la colpa ai dipendenti».

E di chi sarebbe la colpa?
«Negli ultimi 12-13 anni c’è stato un ritorno potentissimo della politica nella pubblica amministrazione: le consulenze sono cresciute a dismisura, 147 mila in più; il nepotismo ha dilagato e il nostro «spoil system» all’amatriciana ha solo aggiunto «tecnici» di una parte ai tecnici dell’altra, per di più sempre più subordinati ai politici; e anche le «esternalizzazioni» sono costate moltissimo, se è vero che negli ultimi 15 anni il costo complessivo di un servizio ospedaliero pubblico è aumentato del 56-57%, contro il 150% in più nel privato».

Ma allora lo sfascio della pubblica amministrazione va addebitato solo alla politica?
«No, i fannulloni ci sono dappertutto. Ma la politica ha grandi responsabilità nell’aver bloccato il processo riformatore che noi avevamo messo in moto nei primi anni Novanta».

E, scusi: la produttività?
«Sarà la contrattazione decentrata a incentivarla. La produttività, nelle amministrazioni pubbliche, può essere calcolata e valutata molto più facilmente a livello di istituto o di ente, e si controlla meglio che alla linea di montaggio. Siamo anche disposti a spostare gran parte delle risorse dai contratti nazionali alla contrattazione territoriale e aziendale. Pagare il merito, premiare la produttività: e rivolteremo la situazione, come un calzino».

La stessa logica che volete adottare nel settore privato.
«Sì: con Cgil e Uil abbiamo chiesto al governo incentivi fiscali forti per le imprese che accedono alla contrattazione aziendale. A quel livello, la produttività è tra i primi elementi di scambio contrattuale. Anche su questo, la disputa con la Cgil è antica ed è sempre stata forte, ma ce l’abbiamo fatta. Il riformismo vero, quello della Cisl, è individuare obiettivi possibili e ottenere risultati tangibili, senza clamori inutili e senza contrapposizioni, ma comprendendo le posizioni altrui. Il pantano della politica è dovuto a questo: tutti ormai alzano polveroni, però nessuno fa più una sola cosa concreta…».