La nazionale è un valore, Gattuso insegna
Mercoledì 30 Maggio 2007di GIUSEPPE TASSI
Curioso che dopo un mondiale vinto la nazionale di calcio venga dimenticata così in fretta. Non mi stupisce che lo facciano Matarrese, Galliani e i dirigenti della Lega, tutti impegnati a mungere la vacca grassa del pallone. Se per motivi di marketing non sono disposti a iniziare il campionato il 19 agosto, invece che il 26 (favorendo la preparazione degli azzurri per i decisivi impegni con Francia e Ucraina) vuol dire che per loro la nazionale è solo una fastidiosa tassa da pagare. Ma così va il calcio, da quando i club hanno preso le redini del movimento, sovrastando il potere della Federazione. Temo che ad Abete non basterà aver scelto come vicepresidente lo stagionatissimo Gussoni, imnvece di Matarrese, per sfuggire al ricatto economico della Lega.
Detto questo, vorrei parlare dei calciatori. E segnatamente di Nesta che a 31 anni, con la pancia piena e un campionato del mondo in saccoccia, ha deciso di lasciare la nazionale. Si concentrerà soltanto sul Milan, come il suo capitano Maldini, eroe di mille battaglie in azzurro, che da anni ha fatto la stessa scelta. Non contesto lo spessore dei due campioni rossoneri, ma c’è qualcosa che non digerisco in questo atteggiamento verso la nazionale. Quando il calcio era calcio, con C maiuscola, la maglia azzurra era un punto d’arrivo, un traguardo, un sogno coltivato fin dai primi calci e realizzato nel tempo. Ci sono calciatori gloriosi come Bulgarelli che alla nazionale hanno sacrificato le gambe (Inghilterra ‘66), altri come Boninsegna (Messico ‘70) che, chiamati all’ultimo tuffo, hanno cambiato la storia di un campionato del mondo. Per generazioni di campioni la maglia azzurra è stata l’obiettivo massimo, il segno di una compiuta realizzazione tecnica e professionale. Perfino i grandi dualismi (come Rivera-Mazzola) si sono esaltati sotto le insegne della nazionale fra polemiche, livori e impreviste riconciliazioni. Nel calcio marketing di oggi invece, la nazionale è diventata un valore accessorio, quasi un elemento di disturbo per il supplemento di partite e di fatiche che impone, per l’inevitabile taglio delle ferie, per il ritorno economico che solo in rari casi è pari a quello di un club.
Se il sistema calcio porta a questo scadimento dei valori, se la prima maglia da sacrificare è quella della nazionale, allora viva i giocatori come Gattuso, che gridano al mondo la loro irrripetibile emozione, la loro gioia esplosiva per quel trionfo mondiale. E urlano al cielo che la nazionale non la lasceranno mai, finchè avranno forza e cuore per alimentare il loro sogno di bambini.